giovedì 4 febbraio 2010
Parla il direttore della Caritas italiana don Vittorio Nozza: la comunità cristiana è vicina a chi soffre.
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Famiglie che aiutano famiglie in difficoltà. Un fenomeno diffuso sul territorio in questi anni di crisi, secondo le informazioni della Caritas italiana. La quale, in base alle circa 6.000 antenne delle sedi parrocchiali e dei centri di ascolto diocesani, zonali o parrocchiali, sostiene che la recessione non è alle spalle, anzi. Sul versante ecclesiale, i fondi di solidarietà, le iniziative di microcredito o l’aiuto di famiglie che hanno scelto di sorreggere i nuclei impoveriti con le adozioni cosiddette di vicinanza sono state davvero molte. E per monsignor Vittorio Nozza, direttore della Caritas nazionale, il crescente impoverimento delle famiglie, testimoniato dal forte aumento degli italiani tra gli utenti dei centri di ascolto, rappresenta un’occasione da cogliere per cambiare cultura, consumi e stili di vita. Don Nozza, dove e chi ha colpito maggiormente la crisi secondo la sua esperienza? Ha colpito le famiglie di tutta Italia, anche nei ricchi territori del Nord Italia e del Centro. Famiglie monoreddito del ceto medio, impossibilitate a sopportare le spese fisse e i servizi essenziali, così come i nuclei giovani, italiani e immigrati, anche con figli piccoli a carico, che basavano il loro reddito su lavori interinali o a tempo determinato e a cui non sono stati confermati i contratti. Ancora, i nuclei con capofamiglia in cassa integrazione, poi gli artigiani e i piccoli imprenditori. Hanno perso il lavoro i padri e le madri mentre i figli riescono, quando va bene, a trovare solo assunzioni precarie. Al Sud la crisi paradossalmente si è sentita meno perché oltre la metà della popolazione attiva lavora nel pubblico. Ma nel Mezzogiorno ciò che in altre parti del Paese è vissuto come crisi fa parte di una condizione permanente di povertà, disagio ed esclusione. Cogliete rischi particolari?La crisi rischia di aumentare il rischio usura, a causa del sovraindebitamento delle famiglie. Sono segnali inquietanti il boom delle carte di credito revolving e del gioco d'azzardo e la rateizzazione delle imposte per numerose famiglie monoreddito. Senza contare le ripercussioni sul diritto allo studio: la crisi economica e reddituale delle famiglie si scaricherà probabilmente sugli studi universitari dei più giovani. Come stanno funzionando a suo giudizio le misure anticrisi?Da parte del welfare italiano l’approccio è stato inadeguato rispetto al bisogno. Misure come la social card hanno riguardato soprattutto anziani soli, non le famiglie, mentre l’accesso a tali provvedimenti si è rivelato difficile e complicato, nonostante l’aiuto di associazioni e patronati per la compilazione delle domande. Rimane unanime la richiesta di ampliamento degli strumenti di sostegno al reddito. Aspettiamo il quoziente famigliare.E le misure messe in campo dalla comunità ecclesiale?In questi anni il quadro delle offerte dalla Chiesa alle famiglie è stato ampio, anche se non può e non deve sostituirsi all’aiuto pubblico e soprattutto deve trovare i finanziamenti per proseguire. La fantasia della carità si è attestata su tre linee: i fondi per il sostegno ai disoccupati, il microcredito, le adozioni di vicinanza. Tutti alimentati da contributi privati. La comunità cristiana è stata sensibile al tema e solidale con chi soffre. In particolare, spesso a donare sono state proprio le famiglie povere, a loro volta beneficiate e che si sono sentite solidali con tutti coloro che vivono una situazione di difficoltà. Mi pare una ricchezza da valorizzare.Quali riflessioni suggeriscono queste esperienze?Anzitutto che il mercato ha i suoi ambiti di applicazione e non tutto si presta a essere comprato e venduto. Sanità, scuola, assistenza non sono adatte a essere contabilizzate nei bilanci aziendali. Secondo, si è molto insistito sul tema dell’aziendalizzazione nel campo dei servizi e dei beni essenziali. Ma senza le dovute protezioni, così si rischia di mettere le famiglie in condizione di non poter sostenere queste spese. Infine, dobbiamo imparare a vivere in modo più sobrio. Abbiamo visto le difficoltà di un modello di sviluppo che non è più in grado di garantire nel futuro stili di vita consolidati, modi di vivere e di consumare che sembravano immutabili. Oggi dobbiamo consumare e investire criticamente perché dalle scelte quotidiane di consumo e dall’impiego dei nostri risparmi dipende la vita di tutti.
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