«Sono preoccupato per il dibattito pubblico. Non solo si tende a ignorare i temi veri, ma ci si allontana dalla soluzione dei problemi – ci dice nel suo ufficio all'Eur Tito Boeri, presidente dell'Inps –. Le due opzioni di cui più si parla sono l'azzeramento dei flussi d'immigrati e l'aumento della spesa pensionistica. Ambedue riducono gli spazi per la non autosufficienza, che invece è un problema da affrontare per tempo, per non trovarci spiazzati dopo».
Vede poca lungimiranza in giro?
Mi accontenterei di riflessioni che guardino ai prossimi 5 anni. In un futuro anche molto prossimo l'Italia avrà bisogno di spendere di più per avere più cure formali - e cure di maggiore qualità - per le persone non autosufficienti. La popolazione oltre i 65 anni è destinata già nell'arco della prossima legislatura, ad aumentare da circa il 22% a oltre il 24%. Parliamo di un quarto degli italiani.
Cosa servirebbe esattamente?
Ci sono tante cose da fare. Servirebbe un piano di legislatura. Vanno razionalizzati gli strumenti esistenti, per usare meglio le risorse e dare di più a chi ha più bisogno. Se si prosegue come si è fatto fin qui, si rischia un circolo vizioso.
Cosa intende?
Noi diamo oggi alle famiglie un'assistenza insufficiente. Rischiamo di scaricare tutto sulle loro spalle, spesso sulle donne, riducendo le loro chance di lavoro. Diamo vita a una doppia distruzione di lavoro: un maggior numero di donne occupate accrescerebbe il reddito familiare e renderebbe più facile assumere persone che aiutino i nuclei nei lavori di cura. Non solo.
Cos'altro c'è?
Si dice "per far assistere i familiari dobbiamo consentire di uscire prima dal mercato del lavoro". Se da un lato è vero che una cura adeguata necessariamente coinvolge i familiari, dall'altro le famiglie diventano sempre più piccole. Quindi, un numero crescente d'italiani si troverà sempre più solo davanti alla non autosufficienza. Siamo sicuri poi che l'aiuto di qualità possa venire solo dal familiare "stretto", costretto a una vita integralmente assorbita da ciò? Altrove, gli esempi di maggior successo si hanno con un mix di cura informale e formale. Eccolo, un grande tema di cui dibattere.
Per tutto ciò servono soldi, ma il Fondo non autosufficienze ha 450 milioni. Come trovarli?
Le necessità di spesa sono destinate a salire di 1 punto di Pil entro il 2050, passando dal 2 al 3%. Questa spesa si potrebbe finanziare con un piccolo contributo - lo 0,35% - da versare al Fondo. E sarebbe utile richiederlo anche ai pensionati.
A proposito: quando saranno operativi i 60 milioni stanziati in manovra per i caregivers?
Mancano i decreti attuativi. Il fondo è finalizzato alla copertura d'interventi legislativi non definiti.
Perché vuol legare l'Ida, l'indennità di accompagnamento (oggi 512 euro al mese) al reddito?
Ancora prima di legarla al reddito, sarebbe importante graduare gli aiuti in base alla gravità della patologia. Tenere poi conto anche delle disponibilità economiche consente di liberare risorse per tarare meglio gli aiuti.
Questo vale anche per l'invalidità civile?
Si, oggi esiste una soglia del 74% al di sotto della quale non si prende nulla, al di sopra 282 euro. È un criterio sbagliato: non c'è
una discontinuità così forte fra il 73 e il 74%, senza contare gli errori che possono esserci nelle valutazioni mediche.
Cosa sta facendo l'Inps sul piano degli accertamenti per l'invalidità?
Per troppo tempo la spesa assistenziale è servita anche a creare consenso politico a livello locale. I conti non lo consentono più. Questo è vero anche per le misure per gli invalidi civili. Oggi c'è un doppio passaggio: la visita presso la Asl, le aziende sanitarie locali, e poi il controllo Inps. Questo è un metodo inefficiente, un dispendio di tempo e di costi, e crea forti disomogeneità dei giudizi sul territorio. Obbliga inoltre i disabili a sottoporsi fino a 4 o 5 visite, il che può divenire vessatorio. Per questo, stiamo firmando con diverse regioni e province delle convenzioni che consentono di accentrare l'accertamento dei requisiti unicamente all'Inps, garantendo uniformità di giudizio.
Ci sono sperimentazioni in atto?
Sì, in 7 regioni diverse. E i risultati sono significativi. Stamani (ieri per chi legge, ndr) ero in Calabria, lì abbiamo ridotto i tempi d'attesa da 118 a 25 giorni. Per questo crescono le amministrazioni che ce lo chiedono.
I controlli fanno venire a galla molte difformità?
A volte macroscopiche. A esempio, tenendo conto di fattori sia demografici sia epidemiologici, ci sono differenze che non si spiegano nell'incidenza dell'indennità di accompagnamento: in alcune zone in Calabria, Sardegna e Umbria ne beneficia il 7,5% della popolazione, il 2% in altre.
Sulle pensioni già molto ha detto in queste settimane...
Lo ripeto: le nostre stime dicono che la "quota 100" per tutti e i 41 anni di contributi aggraverebbero il debito pensionistico implicito di 85-90 miliardi: vuol dire che chi lavorerà dovrà pagare ancora più tasse e contributi. Peraltro, questa opzione è addirittura più costosa che il ritorno alle regole "ante Fornero". Anche a legislazione vigente, siamo destinati in un decennio ad avere tanti pensionati quanti occupati. Non è pensabile andare oltre.
Dipende anche dalla demografia?
Certo. Sbagliando, viene ritenuta una questione di lungo periodo. Ma il declino demografico è un fenomeno molto più rapido di quel che si pensa. Per la popolazione nativa abbiamo un saldo naturale, negativo, di quasi 300mila persone: è come se ogni anno sparisse una città come Pordenone. Siamo l'unico grande Paese europeo che conosce un declino simile. Non si può ignorare. Anche per il debito pubblico: ipotizzando un blocco dell'immigrazione, in 5 anni perderemmo 1,5 milioni d'italiani, questo significa 1.000-1.500 euro di debito in più cadauno. Le misure varate finora sono disorganiche ed estemporanee. Anche per questo è importante integrare gli immigrati nel mercato del lavoro. All'Inps abbiamo guardato alla regolarizzazione del 2002: a distanza di
5 anni circa l'80% degli immigrati stabilizzati con quel provvedimento versava regolarmente contributi.
È presidente dell'istituto da poco più di 3 anni. Cosa le ha dato questa esperienza?
Tanto. Ho potuto mettere in pratica alcune mie idee, in particolare sulla trasparenza, tipo la "busta arancione", sull'aumentare la consapevolezza dei cittadini, informandoli delle conseguenze delle loro scelte e dei loro diritti. Col Comune di Milano, stiamo sviluppando un progetto per i senza fissa dimora, per informarli delle prestazioni cui avrebbero diritto. Da oggi aiuteremo chi perde il lavoro con una domanda precompilata di Naspi. E abbiamo sviluppato un simulatore per verificare se si può beneficiare del Rei.
Le hanno imputato di "eccedere" nel ruolo.
Il ruolo dell'Inps è di fornire dati utili per la politica economica. Previdenza significa anche allungare gli orizzonti, spesso angusti, del dibattito pubblico. Ho interpretato così il mio ruolo. E ho verificato, sull'Ape sociale, nella definizione dei lavori gravosi e sul cumulo, le difficoltà nel rapporto fra leggi e loro applicazione. Bisognerebbe scrivere le leggi in modo più completo, per evitare troppa discrezionalità delle amministrazioni. Per questo ci vuole una classe politica competente. È una questione di democrazia.