«Sono andato a Ginevra, e per i ministri di tutto il mondo i riferimenti erano due: l’Italia e gli Usa, la seria A della Salute. Torno a Roma e trovo una relazione della Corte dei conti stravolta e distorta, in cui due righe sulla corruzione oscurano l’ampio elogio della nostra spending review. È una distorsione, una montatura che non so spiegarmi...». Renato Balduzzi è seduto sulla punta di un bel divano in pelle nera. Ha appena concluso una riunione con il comandante dei Nas, il generale Cosimo Piccinno, per fare il punto sulle operazioni anticorruzione. Tra le mani tortura l’i-Pad. Il ministro scorre ed evidenza la relazione dei giudici contabili. Più la rilegge più si sente sotto assedio. «Non ci crederà, ma tutti ci invidiano: nessuno resta fuori dalle cura, non chiediamo ai cittadini la carta di credito, eppure abbiamo un buon equilibrio tra risorse e risultati. Vogliamo perdere questo primato? Vogliamo andare in serie B?».
Però, ministro, quando si parla di tagli si parla di Salute...La Sanità ha iniziato a rimodulare la spesa prima di tutti gli altri settori e, come ha detto la Corte dei conti, nel 2011 i costi sono calati. Abbiamo un lungo trend positivo...
Il governo intanto nomina un supercommissario come Enrico Bondi per metterci le forbici...Prima di tutto ci tengo a dire che sinora non abbiamo avuto alcun contrasto interno al governo. E con Bondi ci sarà piena collaborazione. Dico soltanto che noi sappiamo bene dove e come rivedere la spesa. Se non vogliamo incidere sui servizi, se non vogliamo perdere il nostro primato, allora i tagli lasciateli indicare a noi.
Anche il Senato ha confermato il potere d’intervento di Bondi sulle regioni in rosso...Tanto rumore per nulla. È stato semplicemente eliminato un dubbio interpretativo, specificando che Bondi può intervenire solo sul capitolo-Sanità, e non sull’intero bilancio della regione che ha un piano di rientro sanitario. Un’ovvietà che non cambia nulla rispetto al decreto del governo.
Torniamo alla corruzione, ministro. Lei la considera poco rilevante?Nient’affatto. Gli intrecci pubblico-privato sono quelli in cui più facilmente si annidano episodi esecrabili, la cronaca ce li racconta inesorabili e la nostra è una preoccupazione costante, una lotta senza quartiere. I Nas lavorano giorno e notte, entro pochi giorni metteremo a punto nuove norme per stringere il cerchio intorno a chi ruba. E poi c’è il ddl anticorruzione che il governo vuole fortemente portare fino in fondo. Però sotto c’è un problema più serio...
Quale?Deve crescere, e sta crescendo, l’attenzione che gli italiani hanno verso i comportamenti etici degli amministratori. Il Paese sta soffrendo, è necessario, anzi vitale, la consapevolezza che per salvarci dobbiamo smetterla di fare i furbi e pensare al bene comune.
Qualche segno concreto?Da un po’ di tempo le elezioni regionali non si giocano più su appartenenze e clientele. Chi ha governato male va a casa. E la gestione della Sanità è l’indicatore numero uno tra le mani dei cittadini.
Potrebbe servire togliere il potere di nomina alla politica?Per darlo a chi? Ora il sistema è razionale: se nomini degli incompetenti, paghi alle elezioni.
Secondo il Censis nove milioni di italiani hanno difficoltà nell’accedere alle cure. È così?Il Censis pone il problema della sostenibilità del sistema sanitario così com’è, una questione seria...
Qual è la sua posizione?Innanzitutto dobbiamo migliorare il sistema attuale qualificando la spesa ed evitando anche un centesimo di sprechi. Ma non si può negare che se ci fosse un lungo periodo di recessione dovremmo fare ulteriori riflessioni.
Ovvero?Tra pochi giorni convocherò una task force sui fondi integrativi sanitari. Voglio capire perché non hanno funzionato...
Un’apertura alle assicurazioni private?No, solo un approfondimento per essere pronti ad ogni scenario, anche quello peggiore.
Come potrebbe funzionare la sanità integrativa nel nostro sistema?L’importante è non creare doppioni con quanto offre il Servizio sanitario nazionale: vedo spiragli per l’odontoiatria, in parte per l’oculistica, e per l’estetica. Però attenzione, quanto accade negli altri Paesi ci insegna una cosa: non basta che una parte dei cittadini si autoassicuri per creare risparmi.
La spesa sanitaria è finanziata anche dal ticket: così com’è fatto, non piace nemmeno a lei. Cambierà?Presenterò una proposta chiara: in base al reddito e ai carichi familiari ci sarà una "franchigia" per ogni cittadino, una quota massima di soldi che l’utente può spendere per fare visite ed esami. Oltre quella cifra, sarà esentato. E chi ha di più contribuirà di più. Penso sia arrivato il momento in cui di ogni scelta politica venga verificato l’impatto sulla famiglia.