martedì 14 agosto 2018
Il cardinale: soffro per la città di nuovo ferita dopo le ripetute alluvioni e il crollo della Torre Piloti, ma penso che nessuna prova ha mai piegato la mia città
Foto il Cittadino

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Nel pomeriggio di Ferragosto il cardinale di Genova, Angelo Bagnasco, ha incontrato uno dei superstiti del crollo del ponte Morandi all'ospedale San Martino, ha reso omaggio ai feretri delle vittime, nella chiesa della struttura, e infine ha visitato i familiari, radunati nelle camere mortuarie.

Sabato alle 11 i funerali di Stato in Duomo.

L'intervista nelle ore successive alla tragedia

Ha appena affidato ai media una dichiarazione misurata e dolente – «la Chiesa genovese piange e prega per coloro che in questo crollo hanno perso la vita, affidandoli all’amore di Dio...» – che esprime sofferenza partecipe ma anche incoraggiamento a Genova perché «si risollevi» e «consolidi la solidarietà, il senso di responsabilità e di impegno concreto». Il cardinale Bagnasco "sente" questa nuova ferita della città di cui è arcivescovo, la fa sua. Vorrebbe andare tra la gente dei quartieri popolari più vicini al disastro, ma – come spiega ad Avvenire – «per ora non posso, mi è stato consigliato di non muovermi, non voglio intralciare i soccorritori. Andrò non appena mi sarà detto dalla Prefettura che è possibile farlo».



Cosa prevale in queste ore, eminenza?
Dominano lo smarrimento e il dolore. Inevitabile chiedersi come sia stato possibile, e perché sia accaduto quel che abbiamo visto. Il pensiero delle vittime, delle famiglie colpite, in alcuni casi straziate da un lutto, non può che suscitare dolore profondo. Allo stesso tempo soffro per la città ferita ancora una volta dopo le ripetute alluvioni e il crollo della Torre Piloti al Molo Giano, solo pochi anni fa. Ma allo stesso tempo penso che ogni volta Genova dopo queste vicende drammatiche che ha vissuto non è mai rimasta piegata, è sempre riuscita a rialzarsi. Sono certo che, con l’aiuto della Madonna che il giorno dell’Assunta preghiamo in modo particolare, troverà la forza per risollevarsi anche da questa prova.

Cosa dice alla città questa sciagura in una delle sue arterie più familiari e frequentate?
Il ponte era sotto gli occhi di tutti noi genovesi, oggetto di ripetute opere di consolidamento. Lo pensavamo accudito nel modo giusto, e che quindi non riservasse sorprese. Così non è stato. Vuol dire che ci sono cause più profonde da scandagliare e da indicare, per evitare per sempre che si possano ripetere fatti di questo tipo.

C’è stata sottovalutazione dei problemi che affliggevano un’opera così importante?
Se è accaduto ciò che abbiamo visto vuol dire che quello che è stato fatto non era sufficiente, dunque va capito perché. Bisogna alzare la soglia dell’attenzione, in particolare per strutture nevralgiche come questo ponte che è insieme un’autostrada determinante per la Liguria, congiungendo l’est della regione con l’ovest ma anche con il nord Italia, e una strada di Genova, una bretella veloce tra il centro e il levante della città. Per i genovesi non è una strada estranea, che riguarda altri utenti e altre destinazioni, ma un pezzo di viabilità urbana che consente di muoversi più rapidamente nella città.

La sua città come stanno reagendo?
Le voci mi arrivano anzitutto attraverso i miei parroci, e in particolare quelli direttamente interessati perché vivono nella zona. Dopo l’allarme c’è stato subito uno scatto di operatività: i genovesi sono concreti, poco teorici, e cercano per temperamento di mettersi al più presto in azione. La diocesi ha già fatto sapere la propria disponibilità immediata per accogliere eventuali sfollati delle case vicine al ponte. Le autorità competenti sanno che abbiamo diversi posti già pronti, i parroci con i quali sono in contatto si sono già messi in movimento. La vicinanza dei nostri sacerdoti alla loro gente – concreta, umile, quotidiana – è nota a tutti i genovesi: che vadano in chiesa o meno, sanno che all’uscio del loro parroco si può sempre bussare, e la porta gli sarà aperta.

In questo momento qual è il compito del pastore?
Vicinanza e accoglienza: deve stare vicino al suo popolo. E la preghiera, che nel giorno dell’Assunta si farà intensa. Ho dato disposizione perché in tutte le chiese si facciano preghiere speciali per le vittime, i loro familiari e per la città. Ho anche chiesto ai parroci di abolire tutte le espressioni esterne che, specialmente nei paesi, accompagnano questa festività religiosa. Dobbiamo farci vicini a tutti coloro che hanno bisogno in questo momento. Penso al piano materiale, assicurando un alloggio di fortuna, ma anche a quello spirituale: sono fatti che colpiscono profondamente l’anima di tutti, e ci sono molte persone che per la loro delicatezza d’animo in momenti come questo hanno bisogno di una parola particolare.

La prima domanda che urge è: poteva capitare anche a me, perché una tragedia simile? Qual è la risposta del credente?
Si pensa alla precarietà della nostra vita, io stesso sono passato su quel ponte solo poche ore prima, di ritorno dall’incontro del Santo Padre con i giovani a Roma. Dobbiamo essere tutti più umili, mai sentirci padroni di niente, tanto meno della nostra vita, che è un dono di Dio e basta. Ci vuole più consapevolezza che siamo fragili. Ma c’è anche un piano più materiale.

A cosa pensa?
Qui si parla di manufatti umani, da fare, da amministrare, da custodire. Ci vuole competenza e prudenza.

Dalla politica locale e nazionale ora cosa si attende?
L’atteggiamento dei buoni cittadini e dei buoni politici, che hanno una responsabilità più grande, anche se non esclusiva, perché tutti dovremmo sentirci responsabili della cosa pubblica. Ma certo, l’aspettativa è che quanti si vedono investiti di una maggiore responsabilità facciano sentire di essere vicini al popolo, e siano operativi.

Si guarda attoniti quel camion fermo un metro prima del baratro, ma si pensa a chi era davanti a lui, un metro dopo. La domanda è sempre la stessa: eminenza, dov’era Dio?
È sulla Croce. Lì Gesù ci ha preceduti, e ci attende.

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