sabato 8 agosto 2015
Il comandante della Guardia costiera: coi barconi stracarichi soccorsi più difficili.
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​«Accanto al dolore per ogni naufragio, c’è la rabbia perché i trafficanti non si fermano. Ogni giorno si rischia la strage, per colpa della loro crudeltà e del loro cinismo. Nel Mediterraneo, la morte è diventata un fatto quotidiano. Quando squilla il telefono della sala operativa, rispondiamo sperando che non sia l’annuncio di un’altra tragedia. Ma non intendiamo cedere allo sconforto: il nostro dovere è salvare vite in mare. Dall’inizio dell’anno abbiamo sottratto alle onde 100.373 persone...». Nelle scorse ore, nave Fiorillo ha sbarcato a Pozzallo i 381 migranti tirati fuori dall’ultimo barcone della morte. Seduto nel suo ufficio, l’ammiraglio ispettore capo Felicio Angrisano può tirare, anche se per poco, il fiato. Dal 2013 è comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera, ma conosce i fenomeni migratori da decenni (negli anni Novanta era fra gli ufficiali che accolsero le masse in fuga dall’Albania) e rifugge le frasi a vanvera e le polemiche. Da uomo di mare, valuta le cose per come sono, senza fronzoli.Coi barconi strapieni di profughi, il rischio di naufragi è cresciuto esponenzialmente?I nostri equipaggi si trovano di fronte a situazioni difficili, che complicano i salvataggi. Ci sono barche sovraccariche, con la stabilità compromessa, basta che il loro carico si sposti improvvisamente e non s’addrizzano più... Può succedere a un miglio dalla costa libica come in mezzo al mare, mentre è in arrivo la nostra nave che sta portando soccorso. Noi mettiamo in campo con coraggio e competenza tutte le nostre risorse. Di più non si può fare...Il rafforzamento di Triton ha effettivamente reso più tempestivi i soccorsi?Abbiamo un dispositivo europeo che ci consente di dare maggiori risposte agli eventi. Ma sta sorgendo un altro problema: se i numeri degli arrivi continuano ad essere così alti, le navi soccorritrici debbono, per forza di cose, essere dirottate verso porti non siciliani, perché in Sicilia non ce la fanno più a sopportare quei ritmi...E così il tragitto di ritorno verso l’area di mare da presidiare si allunga?Inevitabilmente sì. Se diverse navi debbono risalire le coste della Penisola per sbarcare migranti salvati, finché non tornano indietro, ci saranno meno imbarcazioni di soccorso nell’area presidiata... E invece servirebbero tutte quante. Potremmo dover essere chiamati a salvare in un solo giorno anche 5-6mila persone, magari sparse su una ventina di barconi distanti uno dall’altro.E come si potrebbe ovviare?Se avessimo a disposizione piattaforme logistiche in mare, dove poter trasferire temporaneamente i migranti messi in salvo, ciò potrebbe consentire più rapidamente alle navi di tornare indietro verso altri barconi segnalati.E sul fronte dell’accoglienza a terra? Secondo lei la Ue dovrebbe fare di più?Nel soccorso in mare, che è ciò che ci compete, da quel tragico 3 ottobre di due anni fa a Lampedusa, molto è cambiato. L’Italia ha fatto da sola un lavoro straordinario, con Mare nostrum e infine l’Europa è giunta in supporto. Il passo seguente, cioè la questione dell’accoglienza, è materia politica e mi consentirà di non entrarci. Però vorrei aggiungere una cosa...Quale?Ho visto coi miei occhi con quanto impegno e sacrificio operino gli altri militari, i poliziotti, i finanzieri, i medici, i volontari, nell’enorme opera di accoglienza predisposta dal ministero dell’Interno, con difficoltà e tensioni giornaliere. Sono stato l’altro giorno a Vibo Valentia, dove una nave della Guardia costiera irlandese ha sbarcato altri 400 migranti: quando li ho visti scalzi, coi panni laceri, affamati e assetati, mi si è stretto il cuore. Siamo esseri umani e, davanti a quelle scene, la pietas graffia le nostre coscienze...Cosa prova quando, in una situazione d’emergenza, non si riesce a salvare tutti?Esistono momenti di sconforto, quando le chiamate di soccorso si moltiplicano e uno scafo stracarico di persone si ribalta... Ma ritrovi la forza, non appena riesci a strappare alle onde un bambino, una donna, un uomo che respira ancora. Il ministro Graziano Delrio una volta ha detto: la vita di un uomo non è un costo, ma è un dovere... Noi tutti, fino all’ultimo marinaio, la pensiamo così. Anche in quest’ultimo naufragio, nonostante le vittime, siamo riusciti a trarre in salvo centinaia di persone. Alla fine, è ciò che conta... Impedire che i barconi salpino dalla costa libica resta la miglior risposta?È una questione su cui la comunità internazionale si sta interrogando. Nel frattempo, noi dobbiamo fare il nostro dovere, aiutando chi si trova in difficoltà in mezzo al mare. L’Italia ha messo in campo un cuore enorme per salvare i migranti. Andiamo avanti sperando che questo cuore regga...
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