Adulti e ragazzi vivono una vita sempre più social, con una media di più di 5 profili a testa, e sono sempre più connessi via smartphone: il 95% degli adulti e il 97% dei ragazzi ne possiede uno, e cominciano sempre più presto. Ma entrambi sono quasi del tutto inconsapevoli delle conseguenze delle loro attività in rete. Sanno che mentre navigano i loro dati vengono registrati (i due terzi sia degli adulti che dei ragazzi) anche se non sanno esattamente quali, sene dicono preoccupati (l'80% di entrambi), ma hanno ormai interiorizzato l'idea che cedere questi dati sia il giusto prezzo per essere presenti online e accedere ai servizi che interessano (circa il 90% di tutti coloro che consentono a un'app l'accesso ai propri contatti). È lo scenario che emerge da una ricerca di Ipsos per Save the Children diffusa oggi, alla vigilia del Safer Internet Day (la giornata internazionale di sensibilizzazione per i rischi legati ad Internet istituita nel 2004 dalla Ue).
Il primo smartphone ad 11 anni su Facebook a 12
L'indagine rivela che i bambini ricevono il loro primo smartphone a 11 anni e mezzo, età media più bassa di un anno rispetto alla rilevazione dell'anno precedente. Pur di essere presenti online, i minori sono disposti anche a mentire sull'età: mediamente si iscrivono a Facebook a 12 anni e mezzo (un anno in meno del 2015), dichiarando un'età superiore. La condivisione di immagini e video di se stessi o di altri, con riferimenti sessuali o in pose imbarazzanti, rappresenta purtroppo un'attività molto diffusa tra i ragazzi: raccontano infatti che tra i loro amici più di 1 su 5 invia video o immagini intime di se stesso a coetanei e adulti conosciuti in rete, o attiva la webcam per ottenere regali. Quattro su 10, infine, inviano o postano immagini intime di loro conoscenti, più di 1 su 3 invia o riceve messaggi con riferimenti espliciti al sesso, 1 su 5 invia ad amici propri video o foto intime. La ricerca evidenzia che vi è una scarsa cura della propria storia online sia per gli adulti che per i ragazzi, che non prevedono una "manutenzione" costante dei propri profili: circa 9 su 10 non compiono azioni efficaci per proteggere la propria immagine online, come cancellare post passati (solo il 18% dei ragazzi e il 14% degli adulti l'ha fatto almeno una volta), togliere il tag del proprio nome da una foto postata online (lo fa solo il 12% di entrambi) o bloccare qualcuno su Facebook o Whatsapp (lo fa solo il 19% dei ragazzi e il 16% degli adulti). Quando si tratta di valutare l'attendibilità di una notizia, il 43% dei minori e il 37% degli adulti basa il proprio giudizio sulle condivisioni che quella notizia riceve. Ancora, quasi un ragazzo su 10 accede a giochi online come poker o casinò o altri siti riservati ad adulti.
Ricerca sul cyberbullismo: per 8 ragazzi su 10 insulti sui social sono normali
Per 8 ragazzi su 10 non è grave insultare, ridicolizzare o rivolgere frasi aggressive sui social si può. Gli attacchi verbali in rete non sono considerati gravi perché non vi è violenza fisica. La maggior parte, 7 su 10, prende di mira l'aspetto fisico, l'abbigliamento e i comportamenti della vittima, convinti che il malcapitato non avrà alcuna conseguenza dagli attacchi. Sono sempre 7 su 10 quelli che non giudicano grave pubblicare immagini non autorizzate che ritraggono la vittima. Questa la fotografia del cyberbullismo come emerge dalla ricerca dell'Università la Sapienza presentata in occasione del via al progetto "Giovani ambasciatori contro il bullismo e il cyberbullismo per un web sicuro", organizzato dal Moige con la Polizia di Stato, insieme alla Fondazione Vodafone Italia e Trend Micro per un uso responsabile della rete. Dai dati della ricerca emerge l'immagine di ragazzi molto poco consapevoli delle regole della rete, degli effetti di comportamenti aggressivi, dell'impatto sulla vittima, di quanti possono accedere e per quanto tempo a tali materiali.La ricerca, condotta su 1.500 ragazzi delle Scuole Secondarie di primo e secondo grado, rileva un generale atteggiamento di sottovalutazione degli effetti dei comportamenti in rete. L'82% non considera grave insultare, ridicolizzare o rivolgere frasi aggressive sui social. L'86% ritiene che le conseguenze per la vittima non siano gravi e che, considerato che non si dà luogo a violenza fisica diretta, l'atto aggressivo verbale può essere considerato non grave e irrilevante.