In un crescendo di polemiche, che non hanno risparmiato nemmeno il Quirinale, il Senato ha approvato ieri la fiducia sulle intercettazioni. Polemiche annunciate, del resto, dal momento in cui il governo ha deciso di apporre la questione di fiducia sul contrastato provvedimento. La seduta è cominciata con lo sgombero, a telecamere rigorosamente oscurate, dei senatori dell’Idv che continuavano a occupare i banchi del governo dalla sera precedente. Ed è proseguita con gli interventi dei capigruppo che si sono scambiate pesanti sciabolate e accuse reciproche, dentro e fuori dall’aula. A favore del ddl che dovrà tornare alla Camera per ratificare le modifiche, hanno votato compattamente Pdl e Lega Nord. L’Mpa, che fa parte della maggioranza, non ha invece partecipato al voto. Il Pd ha deciso di abbandonare l’aula, mentre Udc, rutelliani, gruppo misto e Idv hanno votato contro. Da registrare la secca risposta che Giorgio Napolitano ha dato, senza mai nominarlo, al leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro, che ancora ieri aveva rinnovato l’appello al capo dello Stato perché non firmasse il provvedimento: «I professionisti della richiesta al Presidente della Repubblica di non firmare spesso parlano a vanvera. Per il resto non ho nulla da aggiungere». Di Pietro ha accusato il colpo: «Non abbiamo né intenzione né soprattutto tempo per polemizzare con il capo dello Stato. Piuttosto ribadiamo che la responsabilità di questa legge è del governo Berlusconi e della sua maggioranza complice». In aula al Senato, l’oratore dell’Idv Luigi Li Gotti ha sintetizzato: «I malfattori da oggi canticchiano "Meno male che Silvio c’è». Una legge che «non tutela la privacy dei soggetti ma i criminali, che uccide la libertà di informazione e limità i mezzi a disposizione degli investigatori per individuare e punire i colpevoli», ha detto la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro, che ha accusato la maggioranza di volere una legge a tutela dei dei propri interessi e di aver «iniziato il massacro della libertà» in Italia. Federico Bricolo, presidente dei senatori leghisti, ha respinto gli addebiti: «Siete voi che avete aiutato il crimine, permettendo gli sbarchi dei clandestini e con l’indulto. I mafiosi stavano meglio quando c’era il governo Prodi». Mentre il capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri ha accusato il Pd di «mancanza di democrazia e di rispetto per le istituzioni» per la decisione di abbandonare l’aula. E ha difeso la legge, dicendosi «fiero» dei miglioramenti introdotti al Senato dopo «due anni di discussioni»: una legge, ha aggiunto, che si muove «esclusivamente dentro i binari della Costituzione» che tutela «la libertà dell’informazione, ma anche la privacy dell’individuo». Archiviato il voto di Palazzo Madama, ora si guarda al dibattito alla Camera e, soprattutto, all’atteggiamento dei finiani che con Fabio Granata, ancora ieri, esprimevano la speranza di ulteriori cambiamenti dell’articolato, a costo di far tornare il testo ancora al Senato, su punti che considera decisivi, ovvero«le intercettazioni ambientali e i reati-spia dei reati di mafia, come traffico dei rifiuti, usura ed estorsioni».