Ermio De Luca
«So di puntare molto in alto, troppo forse, ma i sogni non hanno barriere», né architettoniche né di altro genere. E lo sa bene Ermio De Luca, ingegnere elettronico romano di 38 anni, che i sogni li ha infranti una prima volta andando a sbattere in macchina contro una quercia, ma dopo anni di buio ha raccolto i pezzi della sua esistenza e la vera quercia è diventato lui: «Era il 23 maggio del 2001 e avevo 22 anni. Guidavo io... Seguirono tre mesi di coma e 33 giorni in pericolo di vita. Ero studente di ingegneria, avevo dato i primi esami alla Sapienza, poi all’università Roma Tre. Quando mi svegliai tutto il mondo era cambiato e io ero inchiodato a una sedia a rotelle. Per due anni non ho voluto vedere un libro».
Ma quando ha deciso che anche da seduti la vita è vita, in quattro anni e mezzo si è laureato con 110. «La mattina facevo fisioterapia, poi mangiavo un boccone e il pomeriggio studiavo – racconta –. Ora che ero disabile al 100% mi era stato offerto uno psicologo come supporto, ma non ho voluto, dovevo farcela». E infatti oggi l’ingegner De Luca è un tecnico altamente specializzato, con tanto di stage alla Esa, l’European Space Agency, dopo una selezione durissima...
Tutto bene, dunque? No, perché in questi nove anni dal giorno della laurea «non ho lavorato un solo giorno». Non cerca eufemismi, l’ingegnere, «mai riuscito a trovare un impiego». La scusa è sempre quella, c’è la crisi, «ok, ma perché i miei colleghi meno preparati di me (carta canta e voti pure!) lavorano, e io no? È assurdo. A chi devo rivolgermi? Vivo con i miei genitori perché la pensione di invalidità non permette una vita indipendente a un disabile... In realtà non basterebbe nemmeno a far vivere un cane».
La sua grande forza sono i genitori, entrambi ausiliari in ospedale, che da 16 anni lavorano part time pur di alternarsi al suo fianco «e se sono quel che sono lo devo tutto al loro amore», l’unica cosa che quell’impatto contro la quercia non ha scalfito. Quanto agli amici, «ne ho persi tanti, ma tanti altri ne ho guadagnati. Ho perso anche la ragazza, nel 2001 l’ho lasciata per non vederla soffrire. Da sette anni ne ho un’altra, ma ormai ero migliorato molto grazie alla fisioterapia, che poi significa grazie alle mie forze e alla mia volontà».
Nel frattempo la casa editrice Aracne nel 2013 gli ha chiesto se come ingegnere esperto (suo malgrado) di disabilità avesse pronto un saggio sulle barriere architettoniche, e siccome non lo aveva se l’è scritto: 'Un po’ di progettazione accessibile' è il titolo del pluripremiato libro, nel quale De Luca mette in fila «tutte le soluzioni concrete ai reali problemi dei disabili, non occorrono idee spaziali, i nostri “muri” sono di piccola entità e per questo più insidiosi». Già, sarebbe più facile combattere contro una scalinata che non ad esempio «contro i cavi o i cordoli per strada, che sono alti solo due centimetri, dunque la gente non li vede neppure, ma per le ruote della mia sedia sono insormontabili. Non passano dieci metri che io non trovi un ostacolo che mi immobilizza: cosa faccio, chiedo continuamente aiuto? Basta un’auto parcheggiata sulla rampa o un’aiuola che prende mezzo marciapiede o ancora i cavalletti con le locandine attorno all'edicola, e io che faccio?».
Quando era sano non si accorgeva di nulla, «perché per fortuna, o per sfortuna, non mi ero mai ritrovato un amico o un parente disabile. All’inizio ero più malevolo verso la distrazione dei sani, oggi sono diventato comprensivo, capisco che ci fanno del male ma inavvertitamente». Per questo ha anche creato un gioco da tavolo, 'Ciak, si aggira', una sorta di Monopoli in cui si procede o retrocede a seconda delle barriere architettoniche. Le scuole lo stanno adottando, prezzo al pubblico 20 euro, costi di produzione 19,80 euro: «Come vede l’ho fatto con l’intento di allargare la visione ai giovani, il disabile non è un nemico e nemmeno un corpo estraneo ». Il gioco è stato selezionato dall’Istituto nazionale di Urbanistica per la Biennale dello Spazio pubblico a Roma il prossimo 25 maggio, ma De Luca mira più in alto, sa bene di essere una rarità, «dove lo trovi un ingegnere che conosce la disabilità e conosce pure le soluzioni? Sono seduto, e allora? Il mio è un lavoro di concetto, e pure gli ingegneri normodotati lavorano da seduti».
Ecco allora il sogno cui accennava all’inizio, «diventare ambasciatore Onu per la disabilità». Ma forse è ancora più ambizioso, e importante, «essere valutato anch’io per i miei titoli di studio». Datemi un lavoro e vi solleverò il mondo.