Dietro i finestrini dell’auto blindata Silvio Berlusconi si sforza di sorridere. Poi tira fuori la mano destra e alza il pollice per spedire alle telecamere ferme davanti all’abitazione privata di Gianni Letta su via della Camilluccia un solo messaggio: il vertice con Gianfranco Fini è andato bene. La verità però è diversa. E basta leggere la nota di Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl e ascoltato consigliere del premier, per capire che duecento minuti di confronto serrato e a trecentosessanta gradi sono serviti davvero a poco. «Adesso bisogna combinare insieme una concezione leaderistica del partito-movimento con quella che richiede sedi permanenti di dibattito e un serio lavoro sul territorio...», ma «questa conciliazione è possibile purché si faccia uno sforzo serio da ogni parte e purché si portino avanti contenuti coerenti con il programma elettorale e di governo». Ecco il primo altolà del Cavaliere: Fini la smetta con l’idea del voto agli immigrati per le elezioni amministrative. Non parlano i protagonisti del tentato chiarimento. Ma i rispettivi staff lavorano per raccontare le loro verità. Per capire le perplessità di Fini bisogna leggere Italo Bocchino, il vicepresidente dei deputati del Pdl ma soprattutto il vero "braccio destro" del presidente della Camera. «Ora bisogna passare dalle parole ai fatti... se son rose fioriranno...». Insomma l’inquilino di Montecitorio non si fida delle assicurazioni del Cavaliere, non crede alle sue promesse; vuole vedere i fatti. E il primo fatto è una «politica più incisiva ed equilibrata verso la Lega». È proprio su questo che, però, arriva il secondo affondo di Cicchitto. «Per le elezioni regionali dobbiamo consolidare la maggioranza con la Lega e aprirla, ove possibile, anche all’Udc», spiega il capogruppo che va avanti e gela Fini: «Il Pdl è un grande partito nazionale, forte sia al Nord che al Sud, caratterizzato da un orientamento moderato e riformista e che quindi deve essere equilibrato, rifuggire da inutili estremismi, ma anche non soffrire alcun complesso di inferiorità nei confronti di una sinistra che non ha più una sua autonomia politica, ma che si fa egemonizzare da
la Repubblica e da Di Pietro».Basta questo per capire la portata dello scontro. Bastano quelle due parole che Cicchitto agita davanti al presidente della Camera: «Complesso di inferiorità». E allora serve a poco l’ottimismo di Adolfo Urso che si affanna a raccontare un’intesa che non c’è: «Credo che si siano poste le premesse per ripartire insieme e bene». E anche la «soddisfazione» di Ignazio la Russa sembra scontrarsi con una realtà che il ministro della Difesa alla fine ammette: «...Certo, bisognerà passare dalle parole ai fatti e avviare senza ritardi quella azione di costruzione e funzionamento degli organi di partito che sia Berlusconi che Fini si sono trovati d’accordo nel ritenere indispensabile».Bastano le dichiarazioni ufficiali per capire che c’è da lavorare. Per rendersi conto che a Fini ancora brucia l’ultimo avvertimento di Vittorio Feltri. E che Berlusconi non ha assolutamente gradito l’iniziativa di Italo Bocchino e l’idea che gli ex di An potessero organizzarsi magari per ostacolare l’azione governativa del premier. La tensione dunque è ancora alta. Perché Fini vorrebbe un intervento del premier sul direttore del
Giornale che difficilmente arriverà. E perché se il presidente della Camera si aspettava un ridimensionamento della Lega ha fatto male i conti. Berlusconi è deciso a puntare sull’asse di ferro con Bossi e sa che Fini non ha poi grandi alternative visto che per il premier l’idea di un soggetto che metta insieme Fini-Casini-Rutelli-Montezemolo è un progetto che non esiste. E le assicurazioni che contano le ha avute direttamente dal presidente della Fiat.