Il giurista Natalino Irti - Ansa
Natalino Irti, giurista di cultura liberale, professore emerito a 'La Sapienza' di Roma e accademico dei Lincei: siamo al crocevia politico fondamentale per il ddl Zan e pare che dibattito nel merito e dibattito politico non riescano a confluire in una sintesi. Lei è arrivato ad una conclusione?
Io muovo dal principio che vuole pienamente compatibili legalità e libertà: cioè osservanza delle leggi vigenti e diritto di contestarle e di promuoverne l’abrogazione. Ed altresì dal principio del nulla poena sine lege, che esige la precisa e rigorosa descrizione della condotta proibita. Spetta alla legge, e non al giudice, di definire l’azione vietata, di indicarne gli elementi di fatto, e perciò di segnare con nettezza di parole il limite della libertà individuale.
Principio che riscontra nella legge Zan?
Alla luce di questi principi, che sono a fondamento del moderno Stato di diritto, il disegno di legge sembra esporsi a talune critiche. È davvero labile - di quella labilità che è propria di percezioni soggettive, arbitrarie e mutevoli - la nozione di «identità di genere» introdotta nell’articolo 1 e ricorrente in altre norme del ddl. Ed anche osserverei, in linea più generale, che il testo scompone l’unità e identità del singolo nella pluralità di categorie biologiche o naturalistiche, dimenticando la tutela costituzionale della «persona». Se questa è il bene protetto, da difendere contro offese e minacce, esso è da considerare nella sua unità, che non sopprime le diversità individuali, ma le raccoglie in una sintesi complessiva e quasi oggettivabile. Il rischio della moltiplicazione è che restino fuori della legge aspetti e profili della persona, che pure sarebbero meritevoli di tutela.
Sta dicendo che 'spezzettare la persona' porti ad amplificare le tutele per alcuni e ridurne per altri, con una contrazione generale della libertà di espressione?
Alla sua domanda ho risposto nel segno della compatibilità tra legalità e libertà. Libertà che scorgo vulnerata nel testo dell’articolo 4, posto sotto l’altisonante e retorica rubrica «Pluralismo delle idee e libertà della scelta». E forse è bene che se ne conosca il testo: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Come non avvertire la gravità, direi l’abisso interpretativo, di quel «legittime» e di quell’«idonee». È «legittima» l’asserzione di u- na differenza sessuale, compiuta per convincimenti profani o fede religiosa e magistero di antiche Scritture? E chi decide, se non l’occasionale giudice, circa la «idoneità» a determinare il «concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti»? Alla legge, e non al giudice, spetta la descrizione della condotta illecita. Un grande studioso tedesco dedicò sue pagine alla «architettura delle fattispecie criminose», così indicando il rigore della tecnica legislativa, che tanto più deve farsi precisa e netta quanto più si avvicina ai fragili e delicati temi delle libertà.
È proprio la libertà il tema su cui pone l’accento la nota verbale della Santa Sede, però contestata da alcune parti politiche…
La nota diplomatica della Santa Sede si muove entro la rigorosa cornice dei Patti Lateranensi (riveduti nel 1984) che, con il decisivo voto dei comunisti, si vollero inserire nella Costituzione repubblicana. Ed anche chi, come me, non approva il sistema concordatario ed ama tornare sul nobile dissenso espresso da Benedetto Croce nei discorsi del 1929 e 1947, deve pur riconoscere, in ossequio al principio di legalità, che la Nota solleva problemi di libertà cari a tutti i cittadini. I quali, ancorché non protetti da accordi internazionali, hanno il costituzionale diritto di esprimere opinioni in disaccordo dalla scelta legislativa.
Diritto che è ora a rischio?
La consapevole libertà del cittadino non sta nel dispregio del diritto vigente, il quale va osservato e obbedito, ma nell’esprimere convincimenti profani o dogmi religiosi, che pur siano in contrasto con le scelte legislative. In breve, la legge non può proteggersi sopprimendo la libertà di dissenso e di critica. Nel difendere la libertà della Chiesa cattolica difendiamo la nostra stessa libertà, di fedeli e non fedeli, o meglio, quei diritti di libertà che comprendono l’una e l’altra. Senza indulgere ad arbitrari paragoni storici, è da rammentare che il vescovo di Münster, conte Graf von Galen, levò, alta e libera e non vana, la propria voce contro il «programma di eutanasia» del regime nazista.