Questa è una «torbida manovra destabilizzante». La replica, dura, del Quirinale arriva a fine mattinata. Riflettuta, ponderata, come nello stile di Giorgio Napolitano, per negare la «ricattabilità» del capo dello Stato, cui
Panorama, ieri, dedicava la copertina. Il presidente legge e rilegge le pagine del settimanale. Insidiose, allusive. In grado di far male pur nel dichiarato intento di venirgli in soccorso. Fin dalla foto di copertina, in bianco e nero, che lo ritrae cupo, assorto. L’inquilino del Colle riflette. Pensa al perché di questa operazione giornalistica. Riflette con i suoi consiglieri, fra i quali non c’è più Loris D’Ambrosio, scomparso improvvisamente proprio nel divampare di questa polemica. Alla fine però prevale l’idea che la misura è colma. Una replica è doverosa. «La campagna di insinuazioni e sospetti nei confronti del Presidente della Repubblica ha raggiunto un nuovo apice con il clamoroso tentativo di alcuni periodici e quotidiani di spacciare come veritiere alcune presunte ricostruzioni delle conversazioni intercettate tra il capo dello Stato e il senatore Mancino. Alle tante manipolazioni si aggiungono, così, autentici falsi», recita la nota, uscita alle 13,30. Falsa dunque, senza citarla, è la ricostruzione di
Panorama, che peraltro non fa riferimento a documenti in suo possesso, ma solo a illazioni circolanti, giudicate verosimili. E a sera anche il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, sostiene che sul settimanale non c’è «nessun fatto, nessuna notizia».Ma sono tanti i conti che non tornano, stavolta non è certo un giornale "giustizialista" a portare l’insidia, semmai il contrario. E c’è poi questa rinnovata insistenza del Pdl sulle intercettazioni a ingarbugliare il clima. Sul Colle, in serata, sale l’ambasciatore Gianni Letta. «Ho espresso a Napolitano la mia personale solidarietà, con lo spirito di collaborazione di sempre, mai venuto meno», chiarisce l’ex sottosegretario alla presidenza di Silvio Berlusconi.Per lunghe ore sul Colle ci si era interrogati sull’opportunità o meno di rinunciare alla consegna del silenzio che ci si era dati una volta investito del conflitto con la Procura di Palermo l’organo supremo garante della corretta attuazione della Carta. Napolitano, infatti, non vuole in alcun modo che sue affermazioni possano essere interpretate, anche capziosamente, come tentativo di condizionare il procedimento in corso, ivi compreso il pronunciamento preliminare, sulla legittimità atteso per il 19 settembre. Ma tacere, di fronte a insinuazioni così insidiose, non era più possibile. «Il presidente non ha nulla da nascondere, ma valori di libertà e regole di garanzia da far valere, ha chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi e attende serenamente». Napolitano difende «l’assoluta obiettività e correttezza della scelta» di adire la Consulta, che avrebbe richiesto, da parte di tutti, la decisione del silenzio. Mentre, a parte le persistenti indiscrezioni sulla stampa (dopo che Napolitano, alla cerimonia del Ventaglio aveva parlato, prima delle ferie, di «miserrime speculazioni») ci si era messo anche Ingroia, già mercoledì, ad accreditare la tesi del ricatto, proprio a commento dell’uscita di
Panorama. C’era dunque da intervenire, in difesa delle sue prerogative, da lasciare «intatte» al successore, come lo stesso Napolitano ha sottolineato di recente. «È risibile la pretesa, da qualsiasi parte provenga, di poter "ricattare" il Capo dello Stato». Ed ecco l’affondo finale: « A chiunque abbia a cuore la difesa del corretto svolgimento della vita democratica spetta respingere ogni torbida manovra destabilizzante».Una chiamata a raccolta che registra convinte adesioni dei partiti della maggioranza "istituzionale", cui Napolitano si rivolge in modo particolare, da Pierluigi Bersani a Pier Ferdinando Casini. Mentre dal Pdl, dal quale pure arrivano note di solidarietà convinta (da Maurizio Lupi a Franco Frattini) è tutt’un fiorire di vicinanza mista a pressioni a intervenire sulle intercettazioni, a partire da Angelino Alfano: «Serve una legge», dice il segretario, portando alla luce il pressing del Cavaliere sul successore a Palazzo Chigi, Mario Monti. Una partita nella quale viene tirato in ballo, ora, anche il capo dello Stato.