«Un fatto, un diritto e un servizio domandato da milioni di famiglie». Questo è l’insegnamento della religione nelle scuole secondo il presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee, l’arcivescovo di Budapest cardinale Péter Erdo. Nella sede del Consiglio d’Europa alla vigilia dei suoi sessant’anni, esercita una certa suggestione che a illustrare la bontà dell’insegnamento religioso scolastico sia un ancora giovane prelato dell’Est, uno che nel 1956 era un bambino di quattro anni. Si sente un’eco della storia del suo Paese nel suo discorso, quando rievoca i metodi di controllo 'spietati' della libertà personale sotto il comunismo, o quando pone con forza l’accento sulla famiglia, 'prima educatrice'. Ma oggi il cardinale vede nella sua Budapest e nell’Est un nemico diverso dal totalitarismo, eppure non meno pericoloso. «Le giovani generazioni sono governate dall’edonismo, e in particolare dal piacere immediato, dall’attimo fuggente. Questo sguardo incide duramente non solo negli affetti e nella costruzione delle famiglie, ma perfino nella capacità di portare a termine gli studi. Se l’unico obiettivo è una soddisfazione immediata, ben poche scelte reggono. In società come quelle dell’Est poi, dove è venuta a mancare una borghesia strutturata, l’esito di questo sguardo alterato produce rapidamente anche corruzione e delinquenza. Infatti molti governanti del-l’Est, pur non essendo personalmente religiosi, vanno scoprendo ora che la tradizione religiosa è necessaria per mantenere una stabilità sociale».
Eminenza, però nell’Occidente con un passato democratico si allarga invece la pretesa laicista di costringere la religione in uno spazio individuale, pubblicamente irrilevante. «È una pretesa che riconosco, anche se spesso mi sembra portata avanti, come in Italia, da frange radicali molto rumorose ma numericamente minoritarie. In realtà la popolazione, in Italia come nel resto d’Europa, non è così radicale. Resta il fatto che quest’ansia di rinchiudere la religione nel 'privato' è non solo inaccettabile, ma impossibile: una religione comporta uno sguardo complessivo sulla realtà, ed è quindi assurdo pretendere che taccia su quanto ha rilevanza pubblica».
Mentre in molti Paesi si fa largo l’idea di una illustrazione 'neutrale' delle varie confessioni, nel documento conclusivo della ricerca presentata qui a Strasburgo, i vescovi europei dichiarano preferibile l’insegnamento scolastico ' a carattere confessionale'. Perché? «L’insegnamento della religione cattolica non può a mio avviso che essere confessionale: non si 'informa' l’alunno, lo si educa, in una trasmissione che coniuga parola e testimonianza. D’altronde, la pretesa di alcuni di poter fornire un punto di vista neutrale sulle diverse religioni mi pare in sé contraddittorio: nel momento in cui spieghi qualcosa cui non aderisci, fornisci già un giudizio implicito all’alunno. Non credo che la 'neutralità' di cui tanto si parla sia possibile».
Mentre un certo laicismo estremo si preoccupa dell’insegnamento confessionale cristiano nelle scuole, altri osservatori paventano l’avvento di una cultura islamica che si prepara a cancellarci… «Non condivido queste paure. L’avere paura è un segno caratteristico di identità religiosa debole».
È una coincidenza o un disegno venire a parlare all’Europa di insegnamento della religione, nei 60 anni del Consiglio? «Inizialmente può essere stata una coincidenza, però questo mi sembra il giorno e la sede giusta per dire all’Europa di guardare con fiducia alla risorsa rappresentata dalla tradizione religiosa. Non è certamente da temere; una forte identità religiosa non porta, come alcuni temono, all’intolleranza, ma al contrario a un confronto fattivo con il prossimo, con cui si dialoga a viso aperto e senza timori».
Sembra però così difficile per gli europei mettersi d’accordo su ciò che li accomuna, su ciò che è 'naturale' e ciò che non lo è. Nella stessa cattolica Italia il dibattito attorno al principio della vita e al modo della morte è da anni violento. «Io tuttavia sono ottimista perché come cristiano sono convinto della possibilità di una conoscenza naturale oggettiva delle cose essenziali della vita. E sono certo che attorno a questi beni essenziali si possa creare un consenso sociale condiviso». Ciò che è forse quanto una parte dell’Europa laica domanda alle confessioni religiose, oggi. Come laicamente ha detto a Strasburgo monsignor Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio, una parte d’Europa guarda con nuova curiosità a quella «dimensione politica» della religione «decisiva per la convivenza comune».