giovedì 25 aprile 2013
Il business delle mafie verso Africa e Sudest asiatico. I guadagni illeciti della criminalità: rendere invisibili milioni di tonnellate di scarti tossici camuffandoli da materie prime. (Nello Scavo)
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La terra dei fuochi non è che una zolla avvelenata del complesso scacchiere globale su cui le mafie dello smaltimento illecito dei rifiuti muovono grandi affari: Vietnam, Thailandia, Cina, Corea del Sud, India, Somalia, Senegal, Paesi del Maghreb. Un fatturato che solo in Italia sfiora i due miliardi di euro e muove un’organizzazione capace di globalizzare il business della monnezza. Con l’inchiesta che comincia oggi Avvenire ricostruisce alcune delle principali rotte del business mondiale dei veleni, con al centro il ruolo delle mafie italiane.Da veri prestigiatori del malaffare le compagini criminali nostrane sono riuscite nella sfida impossibile: rendere invisibili milioni di tonnellate di scarti pericolosi. «Alcune indagini in corso – rivela l’ultimo report della Direzione nazionale antimafia – evidenziano un fenomeno ormai dilagante, quello della subdola forma di attività criminale che viene definita come smaltimento in bianco». In altre parole, la spazzatura viene spacciata per "materia prima", consentendo di percorrere indisturbati tanto le autostrade da Nord a Sud quanto le rotte intercontinentali.La ricostruzione della procura nazionale antimafia racconta di quella creatività criminale che più volte ha lasciato di stucco gli investigatori più scafati. «Si tratta di utilizzare gli scarti – spiega il dossier – come merce di "prima mano", con tutte le conseguenze immaginabili». E le scorie, grazie a questi stratagemmi, «in modo fittizio e fraudolento perdono nei documenti la loro identità di rifiuti e vengono indicati come ordinarie merci». Basta questo per evitare l’alterazione di «registri e formulari, la cui falsificazione costituisce il naturale corredo delle violazioni in materia di traffici di rifiuti». I container vengono così accompagnati solo da «documenti di trasporto e fatture commerciali» perfettamente in regola. A nessuno, del resto, verrebbe in mente di indagare su aziende che dalla contabilità ai registri di trasporto si presentano con il volto rassicurante di chi fa dello zelo e del rispetto delle regole una filosofia imprenditoriale.Non resta che cercare l’ago nel pagliaio, sospettando anche di chi, dopo i controlli di routine della polizia stradale come della Guardia di finanza, risulta non aver commesso neanche la più piccola infrazione. Perciò è da ritenere solo all’inizio quell’indagine, ancora in corso, su alcune industrie del Nord i cui scarti sono stati travestiti da merce che gli inquirenti hanno seguito passo passo fino allo sbarco «oltre che verso la Cina, anche verso la Malesia, il Vietnam e la Corea del Sud». Il caso più recente ha riguardato la realizzazione della rete ferroviaria ad alta velocità. Un’inchiesta avviata nel 2010 e resa nota poche settimane addietro «ha fatto emergere un consistente traffico di rifiuti speciali, smaltiti illegalmente, nonché la truffa ai danni della Rete ferroviaria italiana», ha spiegato il corpo forestale dello Stato. Gli indagati sono 31, «fra questi funzionari pubblici e dirigenti delle Ferrovie". Secondo l’accusa, "migliaia di tonnellate di rifiuti sarebbero state smaltite abusivamente. La Rete Ferroviaria Italiana pagava gli elevati costi di smaltimento alle ditte», ma in realtà i rifiuti non seguivano la corretta trafila. I fanghi pericolosi «venivano poi scaricati direttamente nella falda acquifera nelle vicinanze dei lavori con il rischio di contaminazione della stessa e del suolo».Si tratta di quella «che è stata definita negli anni precedenti la "élite" dei traffici illeciti dei rifiuti che, per il collegamento che in ossequio alle esigenze della green economy ormai si è instaurato tra smaltimento dei rifiuti e riciclo degli stessi per trasformarli in fonti alternative di energia, rischia – spiegano dall’Antimafia – di trasformarsi in una vera e propria centrale di distorsione criminale della "economia verde», con la conseguente (con)fusione dei traffici illeciti dei rifiuti con le attività delittuose concernenti le fonti alternative». Accade che ai faccendieri del ciclo illegale si aggiungano o sostituiscano quelli che efficacemente sono stati definiti gli «sviluppatori», cioè soggetti che di smaltimento dei rifiuti non sanno nulla, ma possiedono la competenza più importante: si occupano dei rapporti con gli enti locali, propongono progetti (pur non avendo le risorse necessarie), definiscono accordi con le amministrazioni e, solo alla fine, cedono l’affare alle imprese, contando sulle proprie relazioni privilegiate. «Una nuova genìa – si legge nel dossier – che interloquisce con mafia e camorra».
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