giovedì 12 agosto 2010
Tarvisio, Salento, Sardegna e Malpensa tra i punti di arrivo più utilizzati. Caritas diocesane mobilitate per assistere chi sfugge dalla guerra e dalla fame.
- In arrivo accordi con Grecia e Turchia
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Quasi in silenzio, stanno tornando gli sbarchi di migranti sulle coste del sud. Mentre gli arrivi via terra soprattutto dalla frontiera orientale del Carso non sono mai diminuiti, in mare i trafficanti di uomini sono alla ricerca di nuove rotte mediterranee per proseguire una delle attività illecite più remunerative con un giro d’affari di svariati milioni di euro. Tre mesi fa il rapporto sulle periferie urbane svolto dall’Università Cattolica per il Viminale segnalava che la percentuale degli irregolari era in aumento, dal 9,1% sul totale registrato a inizio 2009 al 10,7% del primo trimestre 2010. E tutti gli osservatori, invitano a guardare non solo al calo degli arrivi, effettivo grazie al pacchetto sicurezza, ai pattugliamenti e ai respingimenti in mare effettuati dalle forze dell’ordine italiane come da quelle spagnole e greche. Chi li aiuta e li accoglie, la Caritas, le organizzazioni di volontariato, le parrocchie e i conventi, da soli o insieme alle autorità, lo sa. Non va mai scordata la forte e costante pressione migratoria che schiaccia in continuazione le frontiere europee. Sul versante maghrebino l’accordo con il regime di Gheddafi e i respingimenti verso le coste libiche hanno ad esempio chiuso, ma non sigillato, il Canale di Sicilia. Ma non è diminuito il flusso da sud verso la Libia, dove restano almeno 450 mila persone, sostengono fonti umanitarie, entrate irregolarmente dal Corno d’Africa e dall’Africa subsahariana grazie al racket con il progetto di entrare in Europa via Italia a ogni costo. Un altro fronte si è aperto in Turchia dove, nei sobborghi di Smirne - è storia di queste ore – attendono invece di partire verso il Vecchio continente afghani, pakistani, bengalesi, curdi, iraniani e iracheni. Sono perlopiù di passaggio diretti verso l’Europa centrale e la Gran Bretagna. Nuove rotte che danno sbocco a un flusso inarrestabile in fuga dalla fame e dalla guerra. Cento persone in tre giorni sono sbarcate in Salento, ultima frontiera del mare. Vengono dalla Turchia, lungo una vecchia rotta di contrabbandieri dismessa da dieci anni che in quasi 100 ore di navigazione collega Otranto con Smirne. In un decennio sono cambiate le modalità di trasporto per sfuggire ai controlli. Dall’inizio dell’estate sono state scoperte cinque barche a vela utilizzate per il trasporto in Puglia di immigrati irregolari. Domenica sera a Porto Badisco, tre km da Otranto, la Guardia di Finanza ha fermato un veliero insospettabile con 66 immigrati di etnia curda, afghana e iraniana, tra cui molte donne e bambini. Ciascuno di loro ha pagato 5000 euro il viaggio della speranza. Ieri 42 cittadini afghani, tra i quali 15 donne e sette bambini, sono stati bloccati dai finanzieri a 8 km da Gallipoli. I piloti, di cittadinanza turca, sono stati arrestati, si sta indagando per stabilire se gli scafi siano stati rubati.«Negli ultimi tre mesi sono avvenuti almeno una decina di sbarchi nel Salento – spiega don Maurizio Tarantino, direttore della Caritas diocesana Otranto - con 680 immigrati provenienti dall’Estremo oriente. La situazione preoccupa e le autorità prevedono altri arrivi». Lo conferma il protocollo d’intesa che ha riattivato la rete di solidarietà locale, siglato otto giorni fa dalla prefettura di Lecce con Comune, Provincia di Lecce, Asl, Croce Rossa e tutte le Caritas provinciali per riaprire il centro di accoglienza idruntino «Tonino Bello». Lì avviene la primissima accoglienza, poi i migranti vengono trasferiti al Cie di Bari per l’identificazione.«Abbiamo scelto di essere presenti – commenta don Maurizio – per dare soccorso e conforto a questi nuovi arrivi, soprattutto famiglie, donne e bambini. Sono di passaggio, la meta è la Germania».La Turchia è al secondo posto nella lista dei Paesi sanzionati dalla Corte europea per violazione dei diritti umani ai danni dei rifugiati. L’Ue perciò non ha ancora concluso un accordo di rimpatrio con Ankara e lascia libero chi proviene dal suolo turco.L’altra rotta navale che dopo più di un anno è tornata in auge corre lungo i 250 chilometri di Mediterraneo che separano il porto algerino di Annaba dalla costa cagliaritana. Gli ultimi approdi lunedì sera – 15 nordafricani sono stati soccorsi dalla Guardia Costiera al largo di Capo Teulada – e ieri sera quando dieci immigrati di origine tunisina sono stati individuati sempre a Capo Teulada. Quest’estate, conferma la Prefettura, ne sono arrivati 150, giovanissimi, molti minori non accompagnati. A piccoli gruppi su barchini. «Da tre mesi a questa parte  – afferma il direttore della Caritas diocesana di Cagliari, don Marco Lai – sono arrivate una sessantina di persone definitesi minori. L’accordo in vigore tra Italia e Algeria prevede il rimpatrio immediato solo per i maggiorenni». Attendono l’identificazione nel centro di Elmas, vicino all’aeroporto cagliaritano, poi tentano la fuga verso Napoli o, via Corsica, verso Marsiglia. La Caritas cagliaritana sta pensando di aprire una comunità per minori per quelli che in Algeria si chiamano "harraga", termine usato nel Maghreb per chi "brucia" la frontiera. La Caritas italiana ha dichiarato che il traffico di esseri umani via terra resta il mezzo principale di ingresso. La conferma viene dai circa 150 chilometri di frontiera carsica che separano Trieste da Tarvisio, dove passano a piccoli gruppi le persone stipate dentro o perfino sotto i tir. La rotta di terra parte dalla Turchia, attraversa i Balcani e raccoglie il flusso di iraniani, irakeni, curdi e afghani. A loro si uniscono bangladeshi e kosovari. Per avere un’idea del sommerso vanno incrociati i dati della Prefettura, 150 richieste d’asilo nel 2009 e 50 di quest’anno, con quelli delle Caritas del Friuli Venezia Giulia, che nei soli centri d’ascolto hanno aperto l’anno passato 2500 pratiche per immigrati, spesso intestate a famiglie intere. L’ultima frontiera, quella aerea, è a Malpensa ed è stata definita un mese fa dal ministro dell’Interno Maroni la più insidiosa. Fino al primo aprile 2008 lo scalo milanese  accoglieva allo sportello rifugiati della Prefettura gestito dalla Caritas Ambrosiana circa 1200 richieste l’anno. Da quando Alitalia ha fatto armi e bagagli, i richiedenti asilo sono scesi a 600 nel 2009 e perlopiù vengono rinviati in Italia, luogo di primo ingresso, da altre capitali europee. Lo scalo lombardo resta, con Parigi, Londra, Francoforte ed Amsterdam, uno dei nodi dell’immigrazione per via aerea. Gli extracomunitari pagano alle organizzazioni criminali 10-15mila euro per un servizio che include documenti falsi. Ma i più da sempre arrivano muniti di visto turistico che non rinnoveranno mai, in attesa di regolarizzarsi con la prossima sanatoria.
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