Il decreto "salva Ilva" è costituzionale. Non viola «parametri costituzionali» di difesa della salute e dell’ambiente e non impedisce «l’accertamento delle responsabilità» nelle indagini in corso. Lo ha deciso ieri la Consulta, respingendo i due ricorsi che i magistrati di Taranto avevano sollevato contro il provvedimento, approvato dal governo Monti quattro mesi, fa, che aveva permesso la ripresa del lavoro, pur condizionata, nell’enorme, e criticatissimo, impianto siderurgico. Superando il sequestro degli impianti e dei materiali prodotti. Un decreto, convertito nella legge 231, che per tribunale e gip era illegittimo, perché, appunto, non tutelava principi costituzionali come la salute e l’ambiente. Non è vero, hanno però sancito i giudici costituzionali dopo una lunga camera di consiglio, dichiarando in parte inammissibili e in parte infondate le questioni sollevate. Una bocciatura netta che arriva a due mesi dalla precedente, quando la Consulta aveva dichiarato «inammissibili» altri due ricorsi, questa volta sollevati della procura di Taranto, per conflitto di attribuzione sempre sullo stesso decreto. Infatti, aveva ricordato la Consulta, il conflitto non può essere presentato nei confronti di una legge, ed è dunque inammissibile, mentre è possibile sollevare «eccezione di legittimità costituzionale». Cosa che era già stata fatta. Proprio con i ricorsi respinti ieri.I motivi, in attesa del deposito delle sentenza, sono condensati in un breve, ma molto significativo, comunicato. Si legge, infatti, che «la decisione è stata deliberata, tra l’altro, in base alla considerazione che le norme censurate non violano i parametri costituzionali evocati (salute e ambiente,
ndr) in quanto non influiscono sull’accertamento delle eventuali responsabilità derivanti dall’inosservanza delle prescrizioni di tutela ambientale, e in particolare dell’autorizzazione integrata ambientale riesaminata». Si tratta dell’autorizzazione (Aia) concessa, dopo un lungo lavoro, dal ministero dell’Ambiente, per permettere all’Ilva di continuare a produrre, a precise e stringenti condizioni. E la Consulta, ancora una volta, spiega ai magistrati che nei confronti dell’Aia, «in quanto atto amministrativo, sono possibili gli ordinari rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento». Inoltre, come a voler rassicurare che la sua decisione non blocca l’operato della magistratura, aggiunge che «le norme censurate non hanno alcuna incidenza sull’accertamento delle responsabilità nell’ambito del procedimento penale in corso davanti all’autorità giudiziaria di Taranto». Insomma si indaghi liberamente su chi potrebbe avere attentato a salute e ambiente, ma, grazie al decreto, l’azienda può continuare a operare, secondo le nuove norme di tutela e risanamento. Che non violano la Costituzione ma dovranno essere rispettate, pena la possibilità di ulteriori interventi giurisdizionali.Positivo il commento del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. «La decisione impegna tutti a proseguire con rigore e rapidità nel programma per il risanamento ambientale» . Perché «la sfida della compatibilità tra salute, ambiente e lavoro si può vincere e ha bisogno del contributo leale e dell’impegno di tutti».