Un comunicatore a disposizione di un malato di Sla al Centro Nemo dell'Ospedale Gemelli - Aisla
Può una Regione definire i tempi di valutazione delle richieste di suicidio medicalmente assistito da parte di malati terminali? Questo, in sostanza, è l’obiettivo della proposta di legge di iniziativa popolare sottoscritta da 8mila cittadini del Friuli Venezia Giulia e 9mila veneti, all’esame in questi giorni delle Commissioni Sanità dei rispettivi Consigli regionali. Ma secondo l’Avvocatura di Stato «l’eventuale approvazione del provvedimento potrebbe esporsi a rilievi di non conformità», con la precisazione che il tema non è di competenza regionale, mettendo così in discussione le prime valutazioni compiute a Trieste e a Venezia.
«Non ci sottrarremo al nostro dovere. Dobbiamo garantire regolarità e correttezza dell’iter. Il parere dell’Avvocatura sarà sottoposto al vaglio del nostro ufficio legislativo» ha reagito il presidente del Consiglio Veneto, Roberto Ciambetti, mentre il governatore Luca Zaia si trovava in Serbia. Tre gli scenari possibili per il Veneto: la Commissione blocca i lavori, oppure consente il voto ma per non procedere, o ancora si riunisce, vota, e si arriva in Aula. A Trieste, invece, si è pronunciato Massimiliano Fedriga, il presidente (della Lega, come Zaia e Ciambetti). «È palesemente così – ha risposto Fedriga a chi gli chiedeva se l’Avvocatura di fatto stoppasse la Regione –. Purtroppo anche in questo caso alcuni gruppi politici utilizzano una materia così delicata e sensibile per fare propaganda, perché la Regione non può legiferare, tutti i costituzionalisti interpellati lo sottolineano, e non solo loro». La maggioranza, ha anticipato Fedriga, chiederà di «fare quello che possiamo fare, ossia potenziare le cure palliative (con la sedazione profonda in alcuni casi, già prevista dalla legge), e monitorare con grande attenzione un rischio che oggi non vediamo ma dobbiamo combattere, ossia l’accanimento terapeutico. Tutto il resto è propaganda sulla vita e la morte dei cittadini, e io mi voglio tenere lontano dalla propaganda per quanto riguarda un bene inviolabile come la vita». Ieri è intervenuto anche Carlo Bolzonello (Lista Fedriga), presidente della Commissione Sanità, che ha concluso le audizioni sulla materia. «In tema di fine vita – ha detto – era necessario rimettere la questione su un binario corretto, stabilendo alcuni princìpi cardine, a cominciare dal fatto che a nessuno è concesso di porre fine alla sua vita con la complicità del Sistema sanitario. Un criterio esplicitato dalla nostra Costituzione. E su questo le audizioni che hanno caratterizzato i lavori della III Commissione di questi giorni sono state particolarmente utili, aiutandoci a capire che bisognava tornare su questo tema centrale. Ribadendo la necessità di stabilire le competenze su chi debba legiferare in materia, per indicare gli strumenti utili ad attuare un qualcosa che di fatto esiste, ma non certo a stabilire dei tempi di attuazione che sono estremamente soggettivi». Bolzonello non ha dubbi: c’è la necessità di rafforzare l'alleanza tra famiglie e sanità per individuare percorsi appropriati per il malato e attivare tavoli di valutazione medica omogenei, con protocolli certi, elaborando procedure uniformi, potenziando le cure palliative e – nei casi previsti – ricorrere alla sedazione profonda, mentre si monitora il rispetto della legge così da fermare qualsiasi forma di accanimento terapeutico.
Terminate le audizioni, il 22 novembre la discussione riprenderà nell’aula del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. «Non sono convinto che una legge regionale sia la risposta a tematiche di questo tipo. È piuttosto necessario che la Regione faccia pressione sul Parlamento affinché legiferi», afferma Gianfranco Sinagra, direttore della Struttura complessa Cardiologia dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. La proposta di legge viene contestata su alcuni punti: l’insufficiente «spazio per cure palliative», la mancata considerazione dell’obiezione di coscienza e la questione dei «tempi certi». Vicino a quest’opinione è l’ex assessore regionale alla Salute, Vladimir Kosic, che ha ammesso di essere spaventato per «la deriva a cui si può arrivare con queste decisioni. Non c'è coerenza tra le leggi fatte e la proposta di oggi: perché la coerenza va verso la vita». Il costituzionlista Mario Esposito osserva che «si fa riferimento al diritto alla morte, ma questo non emerge dalla sentenza della Corte costituzionale» che delimita in modo preciso l’area di non punibilità dell’aiuto al suicidio. Gian Luigi Gigli, coordinatore della Rete regionale per l’ictus cerebrale, ha prima riportato l’analogia con la vicenda della legge sulla regionale sulle Disposizioni anticipate di trattamento («rivedo oggi la voglia di anticipare il Parlamento, presi da ansia da prestazione») e poi segnalato i punti deboli della proposta di legge: dalla copertura finanziaria («come comparare la somministrazione di un farmaco letale alle cure palliative?») ai tempi («che si vogliono certi: ma non sono rispettati nemmeno quelli per curare le normali patologie»). «Con questa battaglia mi viene voglia di vivere» ha detto Stefano Gheller, tetraplegico da 38 anni, audito in Commissione Sanità del Veneto, dove, maggioranza (di centrodestra) e opposizione si sono palesate divise al loro interno.