Seid Visin - Ansa
Sta scioccando l'Italia la notizia del suicidio di un ventenne di origine etiope, già promessa del calcio, che in una lettera ha denunciato pesanti atteggiamenti razzistici nei suoi confronti. La vicenda risale a due giorni fa, ma soltanto ieri si è avuta la conferma della tragica fine di Seid Visin a Nocera Inferiore (Salerno). Il giovane aveva debuttato nelle giovanili del Milan, poi era tornato a casa per studiare e prendere il diploma di liceo scientifico. Giocava ancora, ma nella squadra di calcio a 5 dell' Atletico Vitalica. Sono i suoi compagni della squadra a salutarlo su Facebook ricordandone il sorriso, "l'indiscusso talento, la naturale straordinaria predisposizione a dare del tu alla palla, che restano impressi nella nostra mente" e "la refrattarietà a vedere il calcio come fonte di di guadagno. Vai via come sei arrivato, lasciandoci attoniti senza parole. A-Dios talento enorme dal cuore fragile". Nel pomeriggio i funerali celebrati a Nocera.
Intanto la diffusione di una sua dura lettera (non recente) ha subito suscitato commozione e indignazione per gli episodi di razzismo che il ragazzo riferisce. Il segretario del Pd, Enrico Letta, in un tweet, scrive: "Se puoi, scusaci. #SeidVisin". A lui si sono uniti tanti esponenti politici di tutti i partiti, da Mara Carfagna a Laura Boldrini, da Dario Nardella a Teresa Bellenova.
"Il gesto estremo di Seid non deriva da episodi di razzismo", hanno però detto i genitori, ai microfoni dell'emittente Telenuova, specificando che il testo che sta circolando è tratto da un post Facebook del 2018.
Il suo ex compagno di squadra al Milan Gianluigi Donnarumma racconta: "Era un ragazzo come me -. Ho conosciuto Seid appena arrivato a Milano, vivevamo insieme in convitto, sono passati alcuni anni ma non posso e non voglio dimenticare quel suo sorriso incredibile, quella sua gioia di vivere".
La lettera straziante l'ha diffusa sui social l'associazione "Mamme per la Pelle", fondata dalla milanese Gabriella Nobile, per "urlare forte che se non ci uniamo in una vera lotta antirazzista, i nostri figli continueranno a soffrire".
Questo è il post di "Mamme Per la Pelle"
Seid aveva 20 anni. Non ce l’ha fatta a sopportare tutto questo dolore e questo razzismo. Si e’ tolto la vita. Questa una sua lettera , di qualche mese fa, che vogliamo condividere con voi non per cannibalizzare la notizia ma per urlare forte che se non ci uniamo in una vera lotta antirazzista, i nostri figli continueranno a soffrire.
“Dinanzi a questo scenario socio-politico particolare che aleggia in Italia, io, in quanto persona nera, inevitabilmente mi sento chiamato in questione. Io non sono un immigrato. Sono stato adottato quando ero piccolo. Prima di questo grande flusso migratorio ricordo con un po’ di arroganza che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, ovunque mi trovassi, tutti si rivolgevano a me con grande gioia, rispetto e curiosità. Adesso, invece, questa atmosfera di pace idilliaca sembra così lontana; sembra che misticamente si sia capovolto tutto, sembra ai miei occhi piombato l’inverno con estrema irruenza e veemenza, senza preavviso, durante una giornata serena di primavera. Adesso, ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone.
Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro. Dopo questa esperienza dentro di me é cambiato qualcosa: come se nella mia testa si fossero creati degli automatismi inconsci e per mezzo dei quali apparivo in pubblico, nella società diverso da quel che sono realmente; come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, che ero bianco.
Il che, quando stavo con i miei amici, mi portava a fare battute di pessimo gusto sui neri e sugli immigrati, addirittura con un’aria troneggiante affermavo che ero razzista verso i neri, come a voler affermare, come a voler sottolineare che io non ero uno di quelli, che io non ero un immigrato. L’unica cosa di troneggiante però, l’unica cosa comprensibile nel mio modo di fare era la paura.
La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati, la paura per il disprezzo che sentivo nella bocca della gente, persino dai miei parenti che invocavano costantemente con malinconia Mussolini e chiamavano “Capitano Salvini". La delusione nel vedere alcuni amici (non so se posso più definirli tali) che quando mi vedono intonano all’unisono il coro ”Casa Pound”.
L’altro giorno, mi raccontava un amico, anch’egli adottato, che un po’ di tempo fa mentre giocava a calcio felice e spensierato con i suoi amici, delle signore si sono avvicinate a lui dicendogli: ”goditi questo tuo tempo, perché tra un po’ verranno a prenderti per riportarti al tuo paese”.
Con queste mie parole crude, amare, tristi, talvolta drammatiche, non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita”.