Un evento «importante». Per Roma, e per il mondo intero, un’occasione «per riconnettersi a quel ciclo di speranza che Giovanni Paolo II ha rappresentato». Gianni Alemanno, sindaco di Roma, vede in questo modo il senso della cerimonia che domenica prossima vedrà la beatificazione di Papa Wojtyla. Trecento, quattrocentomila le persone attese. Forse più.
Roma è pronta? Credo di sì. Abbiamo già l’esperienza maturata al tempo dei funerali, e penso che siamo pronti, anche se è chiaro che bisogna essere molto attenti. Pronti ad accogliere tutti, e secondo me alla fine i calcoli fino a oggi sono sbagliati, perché saranno molti quelli che verranno spontaneamente, flussi carsici, per così dire, fuori dei gruppi organizzati. Ma, ripeto, siamo abbastanza tranquilli.
Città accogliente, ha detto. Ma che proprio nei giorni di Pasqua ha vissuto, su un altro fronte, un momento di crisi di accoglienza. Io non voglio fare polemiche in questi giorni, quello che è accaduto a San Paolo non rappresenta la realtà ro- mana, anche se, come sempre, fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Abbiamo discusso di cinquanta nomadi, ma nei nostri campi autorizzati e in quelli tollerati ci sono oltre seimila nomadi. La nostra è e rimane la metropoli europea che accoglie maggiormente, pensare che Roma 'cacci' i nomadi è veramente fuori dal mondo.
Tornando a quanto accadrà domenica prossima, che cosa rappresenta per la città questo momento?È una specie di ritrovarsi, perché Giovanni Paolo II in qualche misura è stata la persona che si è legata a tutto un ciclo positivo, per la città e per il mondo. E secondo me l’evento di domenica prossima può riconnettersi a quel grande ciclo di speranza, un ponte che ci aiuta a superare anche la crisi di questo momento.
Roma è piena di manifesti con la frase, ormai famosa, di papa Wojtyla: 'Damose da fa’, semo romani'. Anche questo un modo per ricordare la 'romanità' di Giovanni Paolo II?Giovanni Paolo II è sempre stato stato molto legato alla città, come ci ha di nuovo confermato il cardinale Dziwisz quando siamo stati a Cracovia. Un Papa che tutte le sere si affacciava alla finestra per benedire la città, e che quando non ce la faceva più da solo ci si faceva portare; un Papa che ha visitato quasi tutte le parrocchie, che è stato veramente e profondamente vescovo di Roma. Un rapporto profondo, che è rimasto, e da questo punto di vista il nostro impegno è anche questo, mantenere vivo questo rapporto che c’è stato, non solo con i credenti ma anche con la parte laica della città.
Lei qualche giorno fa ha parlato di scelta di 'sobrietà' per questa occasione. Che cosa, in particolare, comporta?Questa è stata una scelta precisa della Santa Sede, una scelta di responsabilità di fronte a quella è la situazione attuale. Questo ha fatto sì che l’appuntamento di domenica non è stato dichiarato grande evento, e si è fatto fronte a tutte le necessità con le risorse comunali e quelle messe a disposizione dalla Santa Sede e dall’Opera romana pellegrinaggi attraverso sponsor privati. Nulla di faraonico, dunque, le cose e i servizi essenziali, che tuttavia mai come in questo caso caso non sono riduttivi, ma è un modo di andare al cure, alla radice del momento, e finisce per valorizzare l’evento stesso. E, in questo senso, va sottolineato anche il particolare contributo che darà il volontariato.
Il 18 maggio l’inaugurazione della statua di Wojtyla alla stazione Termini- Giovanni Paolo II. C’è già qualche programma per il 22 ottobre? Per ora, come organizzazione ci fermiamo al 18. Ma sicuramente per la prima festa del nuovo beato il Comune, con il Vicariato, organizzerà qualcosa di importante.