Un gruppo di volontari del Meeting - Ansa
«Non c’è da aspettare ancora. Sulla cittadinanza in Italia siamo molto indietro». I padiglioni della Fiera non sono ancora aperti e Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione sussidiarietà, componente storico della “redazione” che cura la kermesse riminese, ha tempo, prima che il Meeting entri nel vivo di fermarsi a riflettere sul tema che scalda il dibattito politico in vista della ripresa di settembre. «La vitoria delle ragazze della pallavolo ha portato alla luce una realtà che avremmo dovuto già conoscere, e che al Meeting conosciamo bene. Certe chiusure sono antistoriche, la cultura abbatte le frontiere, negli Stati Uniti appena metti piede in una scuola acquisisci la cittadinanza...».Il Meeting per l’amicizia fra i popoli non può contraddire sé stesso. «Le frontiere sono state sempre per noi un luogo in cui i popoli entrano in comunicazione, non per farsi la guerra», concorda Sandro Ricci, un pezzo di storia del Meetind, essendone stato direttore dal 1982 al 2018.
Ma ora c’è di più. Oltre che una norma di civiltà, una nuova normativa che faciliti e renda certa una più agevole ed equa acquisizione della cittadinanza è una problematica sempre più avvertita come urgente, sul piano dei rapporti umani, come diritto all’integrazione,ma anche sul versante economico e produttivo, per dare certezze agli operatori economici. «In ogni esperienza di vita che viviamo, dalla scuola, al lavoro, all’assistenza al prossimo incontriamo ragazze e ragazzi che sono già parte attiva della nostra comunità. La vivono, ne fanno parte. La costruiscono», dice Stefano Gheno, presidente del settore opere sociali della Compagnia delle Opere, chea Rimini ha da sempre uno degli stand più frequentati e “operativi” al Meeting» «È tempo che la politica si colleghi con la società che viviamo. Non sta a me indicare quale ius occorre adottare. Mi auguro solo che la politica sappia fare un salto in avanti e punti a una soluzione alta per il bene comune».
Nel pomeriggio di mercoledì 21 agosto a Rimini a confronto con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sui temi dell’integrazione, a mettere in luce due buone pratiche presenti entrambe con un loro stand al Meeting. Marco Cerasa è il ceo di Randstad, società di impegnata sul tema della formazione, con dei progetti mirati dedicati a rifugiati e stranieri e anche un progetto di crossboarding per la selezione e l’inserimento dall’estero di lavoratori: «Ora stiamo ad esempio formando 20 egiziani al Cairo con i salesiani per verire a fare gli elettricisti e abbiamo un progetto di formazione in Perù con la Cattolica. Ma al fondo - spiega Cersesa - c’è una decisione da prendere. Nel saldo fra posti persi e guadagnati c’è un milione di posti che non si riesce a coprire. Bisogna allora decidere se rassegnarsi al declino o dare un futuro al nostro Paese. Certo, occorrono regole serie, ma soprattutto nuove. Come si fa a fare dei corsi di formazione seri e una seria programmazione con permessi che scadono, con certezze che non vi sono?». Ceresa ne fa anche un problema culturale: «L’integrazione è un lavoro duplice, che non coinvolge solo chi viene da fuori. Un soggetto nuovo e con una diversa cultura impone anche a tutti gli altri un passaggio da fare. L’accoglienza è un percorso, da fare insieme, in un quadro legislativo più seplice, più chiaro e più accessibile».
L’altro relatore che si confronterà oggi al Meeting con Piantedosi sull’integrazione è Alberto Sinigallia, presidente della fondazione progetto Arca, che cira fra l’altro una delle mostre più importanti di questo Meeting, “Per chi esistono le stelle”: un lavoro di 30 anni al fianco degli indigenti che li mette a contatto con la bellezza, che non esclude nessuno: «Anzi, come insegna questo Meeting il bisogno apre il cuore all’essenziale, e la bellezza è un concetto essenziale per ciascuno di noi. Abbiamo tanti progetti con gli immigrati e possiamo testimoniare che una legge serve, ma deve avere dei criteri seri». Sinigagli guarda al “modello tedesco”: «Con regole certe, senza creare ghetti, è stato possibile integrare un milione di siriani». Serve anche in Italia una nuova normativa, ne è convinto. E indica i tre “pilastri” che deve contenere, dalla sua lunga e fruttuosa esperienza: «Il primo è l’istruzione, perché l’integrazione. La seconda è il lavoro, la terza è il rispetto. Perché la vera integrazione si fa in due». E senza cultura, avverte Ceresa, non si fa integrazione e nemmeno sicurezza sul lavoro: «Come si fa a fare un corso sulla sicurezza con chi non conosce nemmeno la parola incendio?».