venerdì 11 novembre 2011
Troppi prelievi di pietrame, l’alveo si inabissa, ora bisogna curare il grande malato. Il direttore dell’Agenzia interregionale del fiume Po (Aipo) fa il punto sulle piene di questi giorni. 
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​L’ingegnere idraulico è una specie strana, un po’ matematico e un po’ poeta, particolarmente quando lavora con un “signor fiume”. Già, perché Luigi Fortunato lo chiama proprio così il Po. Ricorrendo ai soli numeri, il direttore dell’AIPo, l’Agenzia interregionale per il fiume Po, potrebbe dirti tutto, sezione e velocità bastano a stimare la portata anche nei giorni in cui il grande fiume urla limaccioso di non avvicinarsi. Fortunato non si scompone - «ci siamo abituati» - e racconta, con partecipazione inconsueta per un tecnico, che il fiume è malato di cemento, come la sua pianura, che bisogna curarlo, ecco come... L’intervista inizia ricordandoci che, secondo la modellistica, ognuno di noi durante la propria vita può assistere a una sola piena come quelle, grandi e tragiche, del 1994 o del 2000. Il fatto di averne già viste due, precisa l’ingegnere del grande fiume, non è quel che si dice una fortuna.Quella che è appena passata, era una vera piena?No, abbiamo avuto dei fenomeni significativi in Piemonte, sia sugli affluenti che sul Po, soprattutto nel Torinese e alla confluenza del Tanaro, ma la perturbazione che si è scaricata tra Genova e Susa non è stata così intensa sul bacino del Po da creare dei veri problemi. I tempi delle piene del Po e le portate in gioco sono totalmente diverse da quelle dei corsi d’acqua liguri: fino a 1000 metri cubi al secondo il fiume è in magra, da 3 a 4000 in morbida, tra 5 e 10000 in piena: in questi giorni siamo arrivati a 5500. Il fenomeno cui abbiamo assistito è stagionale. Davvero non avete mai temuto il peggio?Disponiamo di una modellistica affidabile e della collaborazione tecnica di diverse agenzie regionali. L’incrocio di questi dati meteo e idrologici  e la competenza dell’Aipo, che conosce i problemi del Po e dei suoi affluenti, permettono di prevedere le piene con una certa sicurezza e intervenire sulle arginature per contenerne gli effetti. In Piemonte abbiamo avuto momenti di tensione, ma perché la perturbazione non se ne voleva andare e l’alea assumeva di ora in ora dimensioni più importanti. Tuttavia, in questi giorni non si è mai profilato uno scenario come quello del 1994 e del 2000... Devo aggiungere, a onor del vero, che dopo il 1994 non ci aspettavamo un replay, perchè statisticamente le grandi alluvioni si ripetono solo a distanza di cento anni. E’ stata una lezione per tutti, a non confidare troppo nei dati della statistica.Siccità e alluvioni: le bizze cui ci ha abituato il fiume negli ultimi anni si possono spiegare con l’effetto serra e il cambiamento climatico?Nella magra del Po intervengono anche fattori umani, come l’esagerazione con cui si preleva l’acqua del fiume, la cui presenza è vista, talvolta, come un impiccio sulla via dello sviluppo economico. Quanto alle alluvioni, l’innalzamento della CO2 (gas serra) è provato scientificamente mentre la correlazione tra quel fenomeno e il cambiamento climatico non è così scontato, prova ne sia, nel nostro caso, che le alluvioni del 1966 a Firenze, del 1994 in Piemonte e lungo il Po e del 2011 in Liguria sono capitate tutte il 4 novembre, in perfetta puntualità con il calendario delle piogge autunnali. Certo, la piena del 2000 fu in ottobre, ma il concetto non cambia: la considerazione che si tratti di fenomeni stagionali ancora nei limiti fisiologici resta valida. Esistono invece delle responsabilità umane?L’uso sconsiderato delle acque e dei territori del bacino ha un impatto fortissimo sulle difese. Una responsabilità importante è quella dell’agricoltura intensiva che non usa più le scoline e gli altri sistemi che una volta trattenevano le acque nei campi e regolarizzavano il deflusso. Ma anche una società che cementifica la Dora Riparia a Torino o il Seveso a Milano - sono solo due tra mille esempi possibili! - e poi si stupisce se questi fiumi “esplodono” dovrebbe interrogarsi sul proprio rapporto con la natura. Nella cultura collettiva, compresa quella di chi prende le decisioni urbanistiche e pianifica lo sviluppo economico, il fiume è diventato un ostacolo da superare con opere, possibilmente, di basso costo. È onesto aggiungere però, visto che in questi giorni abbiamo assistito a polemiche dolorose sulle responsabilità dei tecnici che hanno autorizzato la costruzione di opere che ora sono all’esame della magistratura, che spesso ingegneri e urbanisti sono sollecitati da un contesto sia politico che economico che pretende assoluta libertà per lo sviluppo, mentre, d’altra parte, le risorse finanziarie per la sistemazione e la manutenzione del reticolo idrografico superficiale sono sempre più ridotte.Quali sono le colpe dell’industria estrattiva?Ci sono, anche se non spiegano tutto. È un fatto, però, che a valle di Cremona l’alveo del Po si sia abbassato fino a sei metri. Finita l’emergenza, cosa bisogna fare?Le priorità sono il completamento del sistema di invasi di laminazione sia in Piemonte che in Lombardia ed Emilia, il potenziamento di quelli emiliani e soprattutto il contrasto all’attuale tendenza di dissesto morfologico della parte mediana del fiume Po (l’abbandono dei meandri e delle golene, l’abbassamento dell’alveo): un processo di degrado di cui non si vede il termine.
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