Un edificio sequestrato alla criminalità organizzata ora sede del centro Pietra di scarto, a Cerignola. Ma pare che allo Stato non interessi valorizzare questi beni recuperati alla legalità a favore di tutti i cittadini - Archivio
Un centro diurno per disabili in un bene confiscato al prestanome di Matteo Messina Denaro. Centri antiviolenza alle donne nei beni confiscati ai boss della ‘ndrangheta. La “cittadella delle arti” nella masseria confiscata al tesoriere della Sacra Corona Unita. Il “Polo della Carità” in una ex fabbrica confiscata alla camorra. Bello, bellissimo. Sono alcuni dei 254 progetti sui beni tolti alle cosche che dovevano essere finanziati con 300 milioni del Pnrr e che il governo, dopo averli approvati, ha definanziato, assicurando che troverà altri fondi. Quali? Nel dossier dei Servizi studi di Senato e Camera a pagina 24 è scritto che non è specificato «quali saranno gli strumenti e le modalità attraverso i quali sarà mutata la fonte di finanziamento delle risorse definanziate». Sottolineando «rischi di rallentamenti o incertezze attuative».
Quindi sono a rischio 75 progetti in Campania (109 milioni di euro), 64 in Sicilia per 83 milioni, 59 in Calabria (quasi 58 milioni), 40 in Puglia (37), 13 in Abruzzo (8,5), 3 in Basilicata (3,3). Progetti e fondi importanti sia simbolicamente che concretamente, per far diventare i beni mafiosi beni comuni. Era infatti prevista una rete di servizi di grande valore, in grado di segnare una straordinaria opportunità di welfare, di giustizia sociale, di cambiamento e di riscatto. Per anni molti beni confiscati sono rimasti abbandonati, per mancanza di progetti e di fondi, una sconfitta dello Stato e una vittoria delle mafie. Ora c’erano progetti e soldi. Vediamone alcuni tra i più significativi.
CAMPANIA
Quasi dieci anni fa, quando il comune di Battipaglia era sciolto per mafia, i commissari, guidati dal prefetto Gerlando Iorio, affidarono un ex materassificio, confiscato alla camorra, alle parrocchie della città salernitana, per realizzare il “Polo della Carità”. Purtroppo le pessime condizioni dell’edificio, e la mancanza di fondi, ne hanno impedito in questi anni la realizzazione. Ora coi 4 milioni del Pnrr il sogno poteva avverarsi. Invece tutto rischia di fermarsi. Come a Scafati, sempre nel salernitano, sempre sciolto per mafia (nel 2017). Qui il fondo agricolo “Nicola Nappo”, il più grande bene confiscato della Campania, ben 12 ettari, intitolato a un giovane ucciso a Poggiomarino il 9 luglio del 2009 per un tragico errore, era destinatario di un finanziamento di 1,5 milioni di euro. Era del boss Pasquale Galasso che vi aveva realizzato abusivamente 7 immobili. Ora, dopo la sanatoria approvata finalmente dal Comune, in questi edifici si dovrebbero realizzare progetti di agricoltura sociale, accanto agli orti già attivi da alcuni anni. Ma ora tutto si ferma. Come per l’asilo nido che il comune di Giugliano, in provincia di Napoli, voleva realizzare nella villa confiscata alla famiglia del boss Zagaria, uno dei “capi” del clan dei “casalesi”. Erano stati assegnati 2,5 milioni, tutto era pronto per la gara.
PUGLIA
Posti di lavoro per soggetti fragili, formazione per immigrati e detenuti, turismo sostenibile, promozione culturale. Sono alcuni dei progetti a rischio in Puglia. A Cerignola il Comune aveva ottenuto un milione di euro per la struttura confiscata che ospita la cooperativa “Pietra di scarto” che, come dice il nome, offre lavoro e formazione nel settore agroalimentare per persone emarginate, gli “scartati”. Come ci spiega il presidente Pietro Fragasso, era previsto il potenziamento delle macchine per la trasformazione del pomodoro, un impianto fotovoltaico e uno per la potabilizzazione dell’acqua, spazi per la formazione, con un raddoppio dell’occupazione fino a 20 persone. «Per noi era come aver vinto la Lotteria di Capodanno. Malgrado una progettazione complessa i tempi sono stati rispettati e avremmo cominciato i lavori a dicembre. Invece ora è una tragedia». Non solo per loro perché il progetto avrebbe dato lavoro a imprese locali.
«Mi sembra un pasticciaccio enorme», commenta il sindaco Francesco Bonito, eletto dopo il lungo commissariamento per mafia. «Per noi era un progetto importante, vogliamo essere all’avanguardia sui temi dell’antimafia sociale. Pur tra tante difficoltà abbiamo operato tempestivamente, rispettando i tempi. Chi è in ritardo sono i ministeri. E poi il governo doveva distinguere tra chi aveva fatto tutto bene e chi no». E comunque, annuncia, «sosterremo i progetti con fondi comunali». Non va meglio nel sud della Regione, Brindisi, terra di Sacra corona unita (Scu). Qui i progetti a rischio sono due e riguardano la cooperativa Terre di Puglia-Libera terra. Il comune di Mesagne aveva ottenuto 1,6 milioni di euro per la ristrutturazione a fini di turismo sociale della bellissima Masseria Canali. Torchiarolo, invece, prevedeva un milione di euro per l’enorme villa di Antonio Screti, il “tesoriere” della Scu. Doveva nascere la “Cittadella delle arti”, un polo culturale in un territorio carente di queste strutture. «Stavamo rispettando i tempi - commenta la vicepresidente Anna Settanni -. Davvero è un peccato, anche perché grazie alla ristrutturazione degli edifici sarebbero partiti progetti e nuova occupazione. È davvero un’ingiustizia per il Sud e per la vera antimafia».
CALABRIA A saltare in Calabria sono molti progetti di aiuto alle donne vittime di violenza. Come a Cinquefrondi, nella Piana di Gioia Tauro. Qui il Comune aveva ottenuto 2,5 milioni per la realizzazione, su un terreno confiscato alla cosca Foriglio, di un centro per donne e minori, “Casa di Roberta”, in memoria di Roberta Lanzino, stuprata, seviziata e uccisa a 19 anni. Ancora senza giustizia. «Ho già fatto la gara per la progettazione. E ora? Se sarà confermato il taglio dei fondi farò ricorso», denuncia il sindaco Michele Conia. «Ci hanno messo fretta e poi? Se il sindaco di un piccolo paese fa qualche ritardo viene denunciato alla Corte dei Conti, ma se lo fa il governo, se non rispetta i patti non succede niente».
Commento analogo di Luca Ritorto, sindaco di Gioiosa Jonica nella Locride. «È come se durante una partita di calcio cambiassero le regole». Il Comune aveva ottenuto 1,9 milioni di euro per realizzare una casa per vittime di violenza in una villetta confiscata a Vincenzo Bruzzese. «Abbiamo finito la fase di progettazione ed era quasi pronta la gara per i lavori. Devo pagare i progettisti. Ma come?». E non crede a quello che dice il governo sull’uso di altri fondi. «Mi sembra il gioco delle tre carte». Ci spostiamo in provincia di Vibo Valentia, dove erano previsti due progetti altamente simbolici, perché su beni confiscati alla potentissima cosca Mancuso. A Limbadi, cuore del clan, con un finanziamento di 2,5 milioni, era previsto l’agriturismo dal nome fortemente evocativo: “Dal letame nascono i fiori: i semi della rinascita”, al posto di un edificio abusivo che dovrà essere abbattuto. A Nicotera, con un finanziamento analogo, si doveva realizzare “Il giardino della libertà”, con un centro antiviolenza con Casa rifugio, un asilo nido e una sala convegni. Il tutto all’interno di un parco urbano, con pista ciclabile, percorso botanico e anfiteatro. Tutto pronto per la gara.
SICILIA
Castelvetrano è il paese di Matteo Messina Denaro. Una delle più grandi confische alle sue ricchezze sono stati i centri commerciali di Giuseppe Grigoli, prestanome del boss, arrestato, condannato per mafia e poi collaboratore di giustizia. Ben 700 milioni di euro, in tutta la Sicilia occidentale. In una delle strutture, proprio a Castelvetrano, grazie a 1,2 milioni di euro del Pnrr doveva nascere il centro diurno polivalente “Il Millepiedi” per ragazzi disabili, con percorsi di arteterapia, musicoterapia, pet therapy. Luogo anche di aggregazione culturale aperto a tutti i ragazzi di Castelvetrano, attraverso la realizzazione di laboratori musicali e teatrali. A gestirlo la Cooperativa sociale “Talenti” che, come ci spiega il presidente Vincenzo Pugliese, «ha già dovuto spendere 10mila euro per la pulizia e la risistemazione del bene che in questi anni era stato depredato e vandalizzato, smaltendo poi i rifiuti speciali in ditte specializzate. E ora chi ci rimborserà?» E aggiunge amaramente: «Poteva essere davvero un servizio prezioso per le famiglie. Inoltre quei fondi sarebbero rimasti sul territorio, facendo lavorare imprese locali».