Da sinistra a destra: i ministri Fitto, Calderoli e Casellati ieri in conferenza stampa - Ansa
Dopo “l’anticipo” di martedì con la nuova bozza presentata dal ministro Roberto Calderoli nella pre-riunione di Palazzo Chigi, il primo passo verso l’autonomia differenziata si compie definitivamente nel Cdm di ieri. La squadra di Giorgia Meloni impiega meno di un’ora e mezza per l’approvazione all’unanimità del testo, accompagnata, pare, dagli applausi dei presenti e la prevedibile esultanza della Lega.
La fuga in avanti del Carroccio, insomma, va a segno, anche se mitigata in un punto piuttosto dirimente, per altro fortemente contestato dal Partito democratico. Nello specifico, se dalla determinazione dei Lep (livelli essenziali di assistenza) deriveranno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, le funzioni potranno essere trasferite dallo Stato alla singola Regione «solo dopo l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie coerenti con gli obiettivi programmati di finanza pubblica».
Un elemento di novità con cui probabilmente sia il partito della premier sia Forza Italia hanno voluto in qualche modo far pesare la loro posizione agli alleati leghisti per poter poi spendere l’immagine di garanti dell’unità nazionale davanti agli elettori meno entusiasti della riforma.
Resta invece l’esclusione del Parlamento dal processo di individuazione degli stessi Lep (altro aspetto aspramente criticato dalle opposizioni), di cui si occuperà un’apposita cabina di regia composta da tutti i ministri competenti e istituita dalla legge di Bilancio del 2023. Lo stesso organismo, entro la fine dell’anno, dovrà provvedere a «una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle Regioni ordinarie – come precisa la relazione illustrativa del ddl – con successiva individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale». I Lep verranno poi definitivamente definiti con uno o più Dpcm.
La trattativa tra lo Stato e le Regioni per la chiusura delle intese durerà almeno cinque mesi. Mef e ministri competenti avranno 30 giorni per valutare la richiesta. Poi si aprirà un negoziato con la Regione per l'intesa preliminare, che dovrà essere approvata dal Cdm e trasmessa alla Conferenza unificata. Questa, a sua volta, avrà 30 giorni per il parere. Le intese dureranno al massimo 10 anni e potranno essere rinnovate per pari durata, salvo che una delle due parti manifesti una volontà differente dodici mesi prima della scadenza, e non più sei come previsto in una prima ipotesi. Gli accordi dovranno poi passare alle Camere che avranno 60 giorni di tempo, «per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari» che si esprimeranno nel merito con atti di indirizzo». Quindi, anche in questo caso, si tratta di un ruolo meramente consultivo e non vincolante.
La palla passa ora alla Conferenza unificata delle Regioni, chiamata a esprimersi sulla legge di attuazione. Parere che dovrebbe arrivare nel giro di tre settimane. Nel caso in cui l’assemblea dei governatori decidesse di intervenire, il Cdm sarebbe costretto a riceverlo, riapprovarlo e inviarlo una seconda volta al mittente. Qualora, invece, non subisse interventi, tornerebbe a Palazzo Chigi per il via libera definitivo. A quel punto si andrà al Parlamento, dove la legge seguirà il consueto iter di approvazione.
«Questo provvedimento dimostra ancora una volta che il governo manterrà gli impegni presi – ha commentato a caldo la premier –. La coerenza con il mandato avuto dai cittadini, per noi, è una bussola». Un concetto ribadito, pro domo sua, anche da Salvini che nella chat dei parlamentari leghisti esulta per «un’altra promessa mantenuta». È chiaro però che ora Fi e Fdi passerranno alla cassa per l’altra grande riforma che sta a cuore alla maggioranza, il presidenzialismo, e lo ha fatto capire chiaramente l’ex presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, parlando poco dopo il Cdm di ieri di un prossimo incontro con Meloni sul tema e auspicando un imminente relativo ddl.
«Puntiamo a costruire un’Italia più unita, più forte e più coesa – ha rivendicato la presidente del Consiglio nella conferenza stampa seguita al Cdm –. Il governo avvia un percorso per superare i divari che oggi esistono tra i territori e garantire a tutti i cittadini, e in ogni parte d’Italia, gli stessi diritti e lo stesso livello di servizi. La fissazione dei Livelli essenziali delle prestazioni, in questi anni mai determinati, è una garanzia di coesione e unità». «Abbiamo un treno che si chiama Italia e se una parte dovesse essere rallentata, viene a rallentarsi tutto il Paese – ha detto il “padre” della riforma, Calderoli, nella stessa sede –. Mi auguro che con questa legge avremo una Italia ad alta velocità, che è il mio punto di arrivo. Mi spiace ancora una volta vedere già dei toni di rivolta. Pregherei di leggere il testo prima di scatenare contrarietà».
Anche Silvio Berlusconi ha voluto appuntare una bandierina sul provvedimento, confermando la mano del suo partito nelle modifiche più evidenti e ricordando che solo «grazie al decisivo contributo di Forza Italia, non ci saranno cittadini di serie A e di serie B. Anche questo impegno è stato mantenuto.
Le tappe dell'autonomia
Entro febbraio. Il parere delle Regioni e nuovo Cdm
La Conferenza unificata Stato-Regioni dovrebbe esprimere il proprio parere sulla legge di attuazione per l’autonomia differenziata entro 2-3 settimane. Il ministro Calderoli ha assicurato che le osservazioni dei governatori saranno recepite. Il testo potrebbe fare più volte la “navetta” tra Cdm e Conferenza. Secondo il cronoprogramma del governo, il varo definitivo del disegno di legge dovrebbe arrivare entro la fine del mese. I tempi non possono essere considerati certi, perché dopo le Regionali di Lombardia e Lazio il quadro dei rapporti di forza dentro maggioranza potrebbe cambiare.
L'esame del Ddl. Alle Camere tempi lunghi e bagarre
Avendo scelto la strada del disegno di legge, non ci sono tempi certi di approvazione da parte del Parlamento. La durata dell’iter nelle aule, dunque, è un punto interrogativo e più del merito conterà la tenuta politica della coalizione di centrodestra. È noto infatti che mentre la Lega spinge per portare a casa il risultato, Fdi e Forza Italia frenano temendo di perdere consensi al Sud. Non solo: la partita dell’autonomia è strettamente intrecciata a quella della riforma costituzionale in senso presidenziale, fortemente voluta da Fratelli d’Italia ma che non raccoglie gli entusiasmi del Carroccio. Le opposizioni, inoltre, non offrono alcuna sponda al testo autonomista.
Entro l'anno. Le definizioni dei Lep e i Dpcm
Un passaggio decisivo e preliminare per arrivare alle singole intese Stato-Regione riguarda la definizione dei Lep-Livelli essenziali di prestazione. Si tratta di soglie minime di servizi - con relativi costi e fabbisogni standard - che vanno garantite a tutti i cittadini sul territorio nazionale. Una norma espressamente prevista dalla Costituzione per tutelare i diritti sociali e civili di tutti gli individui. La bozza presentata da Calderoli prevede che i Lep vanno decisi entro un anno dall’entrata in vigore della legge, attraverso appositi decreti del presidente del Consiglio (Dpcm). L’obiettivo è avere i Dpcm entro il 2023. Ai Lep già sta lavorando un’apposita cabina di regia.
Gli accordi. Sulle intese vaglio anche delle aule
Definiti i Lep, le Regioni possono chiedere di arrivare ad un’intesa per l’autonomia su una o più materie che la Costituzione non considera competenza assoluta del governo. Dopo l’approvazione dell’intesa preliminare governo-Regione si chiede il parere della Conferenza unificata. Entro 30 giorni si invia l’intesa preliminare a entrambe le Camere, che hanno 60 giorni per esprimere il proprio atto d’indirizzo. Il Consiglio dei ministri stila quindi l’intesa definitiva, che passa al Consiglio regionale. Infine l’accordo torna in Cdm per l’approvazione definitiva tramite un apposito disegno di legge.
Il monitoraggio. Durata degli accordi massimo 10 anni
Le intese fra Stato e Regioni durano massimo dieci anni e possono essere rinnovate per pari durata, salvo che una delle due parti manifesti una volontà differente dodici mesi prima della scadenza, e non più sei come previsto in una prima ipotesi. Ciascuna intesa può prevedere casi e modalità con cui lo Stato o la Regione possono chiedere la cessazione, che è deliberata con legge a maggioranza assoluta delle Camere. La Presidenza del Consiglio del ministri, il Mef o la Regione possono, anche congiuntamente, disporre verifiche su specifici profili o settori di attività oggetto dell’intesa in relazione alla garanzia del raggiungimento dei Lep.