mercoledì 2 dicembre 2009
Romeni e polacchi vivono nelle baracche non lontano da Castelfusano dove un rogo ha distrutto una famiglia Il sogno impossibile: una casa vera, fatta di pareti.
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L’odore acre di bruciato. L’eco lontana delle voci. Attorno solo alberi e arbusti. «Alexandro? Alexandro?» Nessuna risposta. Poi attraverso un recinto di plastica e lamiere spunta un uomo: è Alexandro, romeno, capo famiglia di 15 persone tra figli e nipoti. «Venite, entrate, prego». E di colpo, lì dove c’era solo vegetazione, si spalanca un mondo nascosto. È un accampamento. Il fuoco è acceso, tende, tavoli, letti, passeggini, sguardi smarriti. Viaggio nella pineta lungo il litorale di Ostia, a due passi dalla capitale. È l’ultimo dell’anno, manca poco alla mezzanotte e i volontari della comunità di sant’Egidio di Ostia stanno compiendo il loro giro per condividere lenticchie, cotechino, spumante e scambiarsi gli auguri con gli ultimi degli ultimi. Non lontano dai luoghi dove, esattamente una settimana fa, un rogo ha distrutto una famiglia romena. Lo sgombero immediato, dopo la tragedia, è servito solo a far spostare il popolo dei senza tetto. Qualche metro più in là, mimetizzati con l’intreccio delle fronde, gli “invisibili” (così come sono stati ribattezzati) continuano a vivere come fantasmi nella notte. «Vivo così da cinque anni, spiega Alexandro, con la mia famiglia. I bambini no, quelli no – si affretta a precisare – sono rimasti in Romania. E poi se accendiamo un fuoco lo facciamo all’aperto, mai dentro. Spesso viene la polizia e ci dice che qui non possiamo stare, che siamo abusivi, allora prendiamo tutto e ci spostiamo». Spariscono di qua, ricompaiono di là. «Siamo tristi, siamo tristi. Vedi come viviamo? – continua Alexandro – Non è vero che non vivremmo volentieri in una casa vera, fatta di pareti. Magari una casa popolare. Ma so di chiedere troppo. Alcuni di noi hanno un lavoro, ma senza residenza come si fa? La regola la conosco bene: prima ci sono gli italiani. Perciò stiamo qui e siamo in tanti. Lì, dietro quegli alberi c’è un’altra famiglia. Da quella parte un’altra ancora, e così per tutta la pineta». La macchia pullula di invisibili. Alexandro ci accompagna ancora per un pezzo. Poi, quando si scorge la strada, si ferma. Sotto la luce dei lampioni no, lui non può sostare: diventerebbe improvvisamente visibile. Da un’abitazione vicina arriva l’allegro vociare di chi festeggia il Capodanno. Alexandro teme parta qualche segnalazione. E torna indietro. Un centinaio i pasti preparati dai volontari della comunità di sant’Egidio. Nella pineta si stima vivano in media almeno 250 persone. Una cifra che, d’estate, raddoppierebbe addirittura. Tuttavia, per le feste natalizie, molti di loro sono andati in patria ma rientreranno nei prossimi giorni. Il giro dei volontari prosegue in altri quattro punti strategici, da Ostia Sud fino al Nord del litorale. E ogni volta che arriva una macchina della comunità di sant’Egidio, di colpo, i crocicchi si animano di invisibili. Sembra sbuchino dal nulla. Sono lì che attendono: un piatto caldo, una parola da scambiare. Come Christoforo, 50 anni, polacco. «Di giorno faccio il muratore – racconta con un italiano ancora incerto – ho lavorato per grandi aziende e anche per privati di un certo livello. Anch’io vivo nella pineta. Siamo in tre, tre uomini. Dobbiamo stare sempre attenti. Il fuoco, ad esempio. La sera quando andiamo a dormire lo spegniamo sempre, anche se fa freddo come stasera». Tutt’attorno, intanto, continuano ad arrivare alla spicciolata altri invisibili. Saluti, strette di mano, abbracci, scambi d’auguri. Emergono così storie di straordinaria normalità. Di cui, per la maggior parte, sono protagonisti uomini tra i 40 e i 50 anni che non hanno scelto di vivere senza dimora ma si sono ritrovati in questa condizione. Arrivati dall’Est europeo, per la maggior parte da Polonia e Romania, lì hanno tutti ancora una casa e una famiglia (che continuano a mantenere). Ma qui vivono completamente soli, spesso in preda alla compagnia distruttiva dell’alcol. Intanto il brio dei botti di fine d’anno interrompe, con stridore, i racconti delle loro esistenze difficili. Vicende che scatenano sgomento e indignazione quando sfociano in tragedia, annientando solo per poco la loro invisibilità, così conveniente a chi preferisce ignorare. Un’ultima domanda, scontata ma di rito: cosa vi aspettate dal nuovo anno? Silenzio e imbarazzo: la vita da quest’angolazione, forse, rende faticoso anche sognare.
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