Monsignor Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei - Meeting di Rimini
Il Meeting di Rimini «ha un grande futuro» in questo mondo di guerre, perché è «un luogo in cui sperimentare una amicizia che non altera le diversità ma le abbraccia è una pratica di pace di cui il mondo ha bisogno». Parole che gratificano il popolo di Comunione e Liberazione e infatti il presidente della fondazione Meeting, Bernhard Scholz, ieri non ha nascosto la soddisfazione di fronte al lungo applauso che l’auditorium della Fiera ha tributato a monsignor Giuseppe Baturi. Il segretario generale della Cei, all’indomani dell’intervento del presidente Zuppi incentrato sul legame tra amicizia e pace, si è concentrato su una lettura teologica dell'amicizia, citando San Bernardo e San Giovanni Crisostomo, Giussani e Florenskij, San Tommaso e Sant’Agostino. Alla base del ragionamento, ha posto l’idea che l’uomo non possa non amare in quanto immagine di Dio e che le amicizie umane altro non sono che il riflesso dell’amicizia suprema del Signore.
L’amicizia, ha detto all’inizio, non è figlia della ragione ma dell’esperienza e questo ci libera dal moralismo, cioè dalla tentazione di dettare regole a prescindere dall’esperienza. Per filosofi e teologi, l’amicizia è una forma d’amore, che si qualifica per essere una «comunione di affetti e di intenti, ma è una comunione che non si confonde con l’uniformità e non vuole ridurre l’altro alla idea che ho di lui. Ne riconosce l’alterità». Amore e mutua benevolenza: volere il destino dell’altro e accettare che l’altro voglia il mio destino, superando la tentazione dell’autosufficienza, è un insegnamento di Giussani che credeva in una amicizia inesauribile come inesauribile è l’amore. «Se il contenuto dell’amore ha un limite non è amore, è interesse» ha commentato l’arcivescovo di Cagliari.
Ripercorrendo il pensiero di Florenskij, Baturi ha sottolineato che l’amicizia è generata dalla carità e per riuscire a trattare gli altri come se stessi, cioè riconoscervi dei fratelli, bisogna avvertire se stessi almeno in uno di loro, cioè avere un amico con il quale la vittoria sulla solitudine si è già compiuta e che ci permette di creare una corrispondenza d’amore con tutti i fratelli. Non si ama il prossimo se non ci si lascia amare da un amico. E non si concepisce l’amicizia se non si accetta se stessi e la vita come un dono del mistero di Dio: «Solo se accettiamo noi stessi e la vita come data da Dio, che è misericordia, possiamo perdonarci e accogliere tutti. Diversamente si è soli e rabbiosi, rancorosi e violenti».
Purtroppo, oggigiorno, «nutriamo una terribile difficoltà a lasciarci amare e a lasciarci perdonare: è la tentazione di salvarsi da sé, mentre una buona dipendenza rende più dolce la vita. La verità dell’amicizia è accettare di farsi amare e vivere l’amicizia come una mendicanza». Al contrario, l’alternativa più ricorrente è non riconoscere che la vita è un bene ma cercare la realizzazione di sé nel consenso altrui o nelle cose, ma «questo è alienazione», ha tagliato corto Baturi.
Ripercorrendo il pensiero di San Tommaso, ha parlato delle quattro possibilità di esser amici rispetto a ciò che può dividerci. Ve ne è anche una politica. «Ma la prima forma – ha insistito – è la famiglia: il rapporto tra uomo e donna è culmine di gratuità e San Tommaso d’Aquino la chiamava non a caso l’amicizia coniugale e parlava del rapporto tra marito e moglie come di un utero spirituale in cui i figli crescono». Ma anche l’amicizia coniugale non è autosufficiente e dev’essere salvata dalla percezione del mistero di Dio.
Passando alla dimensione politica, il segretario della Cei ha affrontato il tema dell’amicizia sociale «per realizzare un bene comune, per esser capaci di includere i più poveri, per riconoscere la dignità dell’altro come soggetto di una costruzione sociale». Bisogna «sviluppare l’amicizia come una forza capace di generare un popolo e questa è la vera sfida. Serve il desiderio gratuito di essere popolo, come dice papa Francesco».
Agostinianamente, ha aggiunto, «un popolo può essere solidale verso gli ultimi solo se conosce l’amicizia e solo come dilatazione dell’amicizia: essa è sempre capace di generare un popolo, diceva Giussani. Il tema, oggi, è rinnovare l’identità del nostro popolo e non è possibile senza una dilatazione dell’amicizia che ci consenta di amare i nostri fratelli bisognosi, anche quando vengono dall’altra parte del mare. Ciò che auspica il Papa è che la realtà sociale oggi esprima un popolo: le nostre amicizie hanno una responsabilità che è generare un popolo prendendosi cura del bene di tutti e politicamente bisogna fare ogni sforzo perché il popolo nasca attraverso l’azione concorde di questa amicizia».