martedì 8 aprile 2025
L'esperienza sul molo Favaloro degli specializzandi in malattie infettive dell'università di Bari. L'isola crocevia di speranza e simbolo di accoglienza per chi arriva da lontano
Il tirocinio dei medici a Lampedusa «Curare i migranti ti cambia la vita»
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Un mese sul molo di Favaloro ad accogliere i migranti, offrendo loro le prime cure sanitarie, insieme ai beni di prima necessità e ad un sorriso rassicurante. Un tirocinio che si trasforma in un’esperienza formativa cruciale sul significato stesso della professione di medico. Lampedusa è l’isola che non c’è, un luogo dove si parte e si arriva, un crocevia di incontro e di speranza. Gli specializzandi in malattie infettive e tropicali dell’università di Bari dal 2022 hanno la possibilità di andare in missione in questo piccolo lembo di terra diventata simbolo dei flussi migratori e delle morti in mare. “Miya Miya. Riflessioni da uno scoglio di confine”, è il diario collettivo nel quale sono confluiti emozioni, pensieri e riflessioni. In arabo significa letteralmente “100%”, inteso come “va tutto bene” ed è la frase che i giovani specializzandi usano per tranquillizzare chi arriva, ma che viene ripetuta come un mantra dagli stessi migranti. Diventa un simbolo di speranza nonostante il mare, le barche sovraffollate, la paura e il dolore, perché rappresenta il desiderio di credere in un futuro migliore, per chi arriva e per chi accoglie. Insieme ad un altro invito, “bon courage” buona fortuna, che diventa il saluto d’addio.

Il libro racconta l’incontro tra chi approda, segnato da viaggi impossibili, e chi tende una mano con solidarietà e con cura. “A tutti coloro che sono in cammino….” è la dedica scelta: perché il viaggio non è solo quello dei migranti ma anche quello fatto dai giovani medici nel loro percorso professionale e personale.

Le pagine scorrono veloci intervallate da foto di mare blu, bambini che corrono e navi stracolme. Pensieri che arrivano dal profondo, come onde. «Sul molo c’è una frontiera di vetro» scrive Valentina. «Un muro invisibile che divide i migranti da chi è lì per assisterli. Vengono sfamati, visitati, vestiti ma poi vanno via, oltrepassando di nuovo quella frontiera». Le emozioni in mezzo al mare “ti schiaffeggiano” dice, ti tolgono il fiato. Il tirocinio dura un mese, ma in molti hanno scelto di tornare, per rendersi ancora utili. In inverno gli arrivi si affievoliscono, si guarda il mare con paura. «Il mare è un binario verso una nuova vita ma a volta ingoia la vita» agginge ancora Valentina. «Nessun uomo è un’isola» scrive Roberta sottolineando come coloro che arrivano, spesso bollati come “clandestini” siano in realtà persone che fuggono dalla miseria, dalla morte, dalla guerra. Tra loro tanti bambini che trasformano lo spazio antistante al molo in una piazza in cui correre e giocare. Tra gli episodi che Roberta affida al diario il salvataggio di un piccolo, Mohamed, caduto in mare e subito ripescato che le viene affidato. Carmen è partita con la voglia di conoscere un aspetto nuovo della specializzazione in malattie infettive che aveva scelto, vale a dire il legame con le migrazioni. Sull’isola ha trovato «una dimensione unica, di condivisione con gli altri specializzandi, il bello del lavorare insieme». Adesso tutte e tre si sono specializzate e hanno iniziato a lavorare. Carmen e Valentina nel reparto di Malattie infettive, la prima a Galatina, l’altra a Matera, Roberta ad Agrigento con Medici Senza Frontiere, ancora in prima linea con i migranti. Tutte e tre sono convinte che Lampedusa non sia stata una parentesi ma un primo passo verso altri progetti umanitari. L’idea del libro è nata per caso. «È stata una collega che per motivi personali non ha fatto il tirocinio a dirci: siete un flusso di emozioni dovreste scrivere un libro. Nonostante il tema dell’immigrazione sia molto conosciuto è un’esperienza che ti cambia la vita, siamo tornate con uno sguardo stupito, diverso» dice Valentina.

«La maggior parte delle pagine del diario sono state scritte in loco» aggiunge Carmen con una grande esigenza di fissare i ricordi e le sensazioni. Per Roberta si tratta di «un bagaglio enorme» che la accompagna quotidianamente nel lavoro che sta facendo ad Agrigento. «Essere lì ti dà la consapevolezza che le persone che arrivano hanno la forza di dire va tutto bene, nascondendo la paure e l’insicurezza. Lasciare tutto rischiando la vita stessa è qualcosa di estremo. I migranti vengono poi mandati nei centri di accoglienza, rimangono fragili e il sistema non è preparato a questo tipo di vulnerabilità».

La professoressa Annalisa Saracino, direttrice della scuola di specializzazione dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari, che ha stipulato una convenzione con il ministero della Salute e l’Usmaf siciliano (l’ufficio di sanita marittima, aerea e di frontiera) che si pensa di rinnovare, spiega che spesso le malattie infettive sono provocate o esacerbate da tutte quelle condizioni difficili che possiamo ricondurre sotto il termine “povertà”: sia essa materiale, causata da guerre, catastrofi ambientali o climatiche, oppure culturale. «Questo insegniamo come docenti universitari ai nostri studenti perché è quello che osserviamo come infettivologi tutti i giorni nella pratica clinica». In questo senso, il lavoro sanitario con i migranti, spiega ancora «è da considerarsi una sorta di corso intensivo, una modalità di apprendimento in immersione totale, un prezioso acceleratore di conoscenza». Nella formazione dei medici non sono importanti solo le capacità tecniche ma anche quelle umane. L’università di Bari ha avviato anche progetti di cooperazione in Africa, dall’Uganda all’Etiopia, e in contesti deprivanti come i ghetti in Capitanata sul Gargano dove vivono e lavorano i migranti. «Nessuna intenzione di strumentalizzare il dolore degli altri» è la premessa che fa la professoressa, ma la volontà quasi l’urgenza sentita dagli specializzandi, di raccontare e far conoscere cosa accade sul molo. Il tirocinio è stato riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità come una best practice per promuovere la salute di migranti e rifugiati e rappresenta un modello per la formazione dei medici del futuro.

© riproduzione riservata

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