lunedì 24 marzo 2025
Presentato nella Sala della Regina il libro di Gargani "Le mani sulla storia". Mulè: «Noi giornalisti ci prestammo, oggi dovremmo vergognarci». Cassese: «L'ideologia dei giudici veniva da lontano»
Alla Camera il processo a “Mani pulite”: «Craxi non andava lasciato solo»
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«Ci siamo prestati, dobbiamo ammetterlo oggi, a un’operazione che non aveva niente a che vedere con la terzietà e con l’indipendenza della magistratura. I magistrati ci lasciavano la stanza libera per andare a copiare dei verbali che erano secretati, e nessuno mi ha mai perseguito per questo». Il deputato forzista Giorgiò Mulè parla di Manipulite e da ex giornalista fa autocritica. «Dovremmo vergognarci», anzi dice. Ex giornalista, peraltro del gruppo Fininvest, che – giova ricordarlo – non fu da meno degli altri gruppi editoriali nel fare da “grancassa” all’inchiesta.

Nella sala della Regina di Montecitorio si presenta il libro di Peppino Gargani intervistato da Daniele Morgera (giornalista del Gr Rai) Le mani sulla storia. Come i magistrati hanno provato a (ri)fare l'Italia, appena uscito per Rubbettino, con la prefazione di Andrea Covotta, direttore di Rai Quirinale. Una operazione «anomala», una «forzatura», la definisce, portata avanti dalla Procura milanese che ha messo sul banco degli imputati un intero sistema politico, scrivendo la parola fine per la vita dei partiti protagonisti di quasi messo secolo di storia repubblicana.

Moderato da Giuseppe Sangiorgi (che è stato giornalista del quotidiano della Dc Il Popolo e portavoce storico di Ciriaco De Mita), c’è un ricco parterre: oltre a Mulè, che fa un po’ da padrone di casa da vicepresidente della Camera, c’è Anna Finocchiaro (presidente di Italiadecide), Fabrizio Cicchitto (presidente della Fondazione Riformismo & Libertà), il magistrato Nello Rossi (direttore di Questione Giustizia), l’avvocato Valerio Spigarelli, il giudice emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese e il giornalista Alessandro Barbano.

Gargani, oggi presidente della associazione degli ex parlamentari, ha dedicato una vita al tema Giustizia. Nel libro, stimolato da Morgera, tira fuori anche particolari inediti. La convocazione che ebbe al tempo, da parte del pool milanese, da presidente della Commissione Giustizia. L’ingresso da una porta secondaria, il tentativo di avviare una sorta di trattativa con i magistrati, che però non ebbe alcun esito, né poteva averlo in una fase di grande debolezza della politica e di grande popolarità dei magistrati inquirenti. Gargani propone un Csm che va equilibrato nei numeri, con metà dei membri togati e metà “laici”.
Sabino Cassese considera questo un punto chiave. Perché quelli che anche lui indica come eccessi di Manipulite, venivano da lontano: «I giudici che si attribuiscono un orientamento della società; il diritto che viene creato dall’ordine giudiziario», con il Parlamento legislatore «che resta sullo sfondo. Questo – rimarca Cassese – ha creato l’idea di magistrati militanti. Una ideologia dei giudici, limitata peraltro al settore penale dimenticando il civile e i sei milioni di cause pendenti». Si tratterebbe invece di «riscoprire la funzione passiva della magistratura, senza che diventi un attore politico».

Più cauta, ma in parte convergente, anche Anna Finocchiaro, che – con la sua esperienza di magistrato – avanzò anche lei, a nome del Pci/Pds, delle proposte miranti a un uso «più misurato» della custodia cautelare. Concorda che «l’azione penale che ebbe i suoi eccessi», di fronte alla «timidezza» di una politica in crisi. Era caduto il muro di Berlino, si stavano disegnando nuovi equilibri», ricorda Finocchiaro, che conviene con Gargani quando accusa: «I magistrati devono giudicare il fatto, non i fenomeni». Ma, per Finocchiaro, ci voleva che del fenomeno qualcuno si occupasse, e invece nessuno volle farlo, un po’ per debolezza, un po’ nella speranza di trarre vantaggio dalla situazione».

Rossi, da magistrato, non si dice contrario all'immunità parlamentare, ma sostiene che l'istituto ha avuto un uso distorto, che ha portato a metterla in discussione.​ Gargani scrive che alle parole di Bettino Craxi in Parlamento «ci saremmo dovuti alzare tutti in piedi, invece ci siamo arresi». La politica si scoprì debole. De Mita a Sangiorgi diede questa spiegazione: «Quelli dopo di noi sono stati allevati un po’ in batteria, non avevano la forza di reagire». Ma da ex socialista craxiano Cicchitto non si rassegna: «Noi siamo qui per evitare che la storia la scrivano i vincitori».




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