lunedì 20 maggio 2013
Gli amici: strano che fosse in giro da sola. La donna, mediatrice culturale per gli immigrati, sarebbe stata investita da un’auto pirata. Ma troppe cose non tornano nella ricostruzione dei fatti. Nei prossimi giorni il Gip deciderà se far proseguire le indagini. (di Paolo Lambruschi)
Ucciso per vendetta l'angelo dei rifugiati? (15/05/2013)
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Minacce che l’angelo dei rifugiati all’inizio non aveva preso sul serio e che poi l’hanno sconvolta, una scoperta misteriosa e un appuntamento la sera della morte. Non è facile sapere di più da San Salvario, il quartiere multietnico di Torino dove era attiva Deeqa Aden Gures, la mediatrice culturale trovata morta sul ponte della Gran Madre il 2 ottobre scorso con il capo schiacciato da un’auto.Deeqa nel quartiere aveva aiutato molte persone offrendo cibo, assistenza e vestiti con generosità e senza chiedere nulla in cambio. Che fosse amata dalla comunità somala e non solo lo conferma l’ambasciatore della Somalia in Italia, Nur Hassan. «L’ho conosciuta a Torino. Era una donna straordinaria, piena di energia, colta e impegnata per il bene comune, Non importa di quale famiglia o di quale regione fossero i rifugiati somali. Per noi la sua morte è stata una grande perdita,e ho fiducia nella magistratura italiana che deve stabilire se procedere o no nelle indagini».La prossima settimana si deciderà sulla richiesta di archiviazione della Procura o su un supplemento di indagini. Ma Deeqa, donna scomoda, aveva avuto a settembre screzi con i notabili somali di Torino che non la vedevano di buon occhio per la sua emancipazione e l’attività umanitaria. Era noto anche a San Salvario. Le veniva rimproverato ad esempio, lei che era nata al nord, di aiutare il “nemico”, i giovani somali del sud. Ma lei ribatteva che non le importava. E oggi persone che vivono e lavorano in questo angolo meticcio dietro Porta Nuova cui aveva confidato le sue paure e che sono stati testimoni di minacce telefoniche, rifiutano di parlare con i familiari della donna. Solo diffidenza verso la giustizia o c’è altro? Abbiamo ascoltato due persone con l’intermediazione dei parenti a patto di rispettarne l’anonimato. La matrona somala che mi ospita nel retrobottega del suo negozio la considerava una figlia.«Quando è morta sono andata con altre donne a lavarla secondo i dettami della fede islamica – spiega – e ho notato che aveva un taglio profondo sulla cima del capo. Mi sembrava causato da un bastone o da una pietra che non da un investimento».A lei aveva parlato delle minacce? «Si, 15 giorni prima della morte. Agli inizi non ci aveva dato peso, Strano, però, che quella notte fosse in giro alle tre del mattino. Qualche giorno prima era rimasta da me a dormire perché avevamo cenato insieme e avevamo fatto tardi e lei non voleva girare sola. La sera in cui è morta è passata a cercarmi, doveva parlarmi. Ma non ha lasciato detto nulla».Di una scoperta importante che riguardava la sua attività con i rifugiati doveva riferire anche alla sorella che vive nel padovano e che avrebbe dovuto raggiungere il 3 ottobre. Anche Dino Barrera, esponente torinese dei Verdi, ci ha detto di aver mancato un appuntamento con lei pochi giorni prima della morte. Dovevano parlare di quello che aveva scoperto e che si è portata nella tomba. Alla sorella aveva parlato anche di un’auto scura che la seguiva da giorni. Secondo quanto racconta una giovane amica della vittima, la sera del primo ottobre dovevano vedersi in un caffè a San Salvario, dove i proprietari l’hanno vista “agitata”. «Però quando l’ho chiamata per raggiungerla – racconta l’amica – mi ha detto che era uscita con una persona con cui aveva appuntamento. Non ha aggiunto di più, ma era calma». Poi Deeqa si è recata alla “Drogheria” un locale di piazza Vittorio ed è tornata a casa in taxi. Quindi è nuovamente tornata in taxi ai Murazzi a notte fonda, senza borsetta né danaro. Forse qualcuno di cui si fidava l’ha convinta a uscire per l’ultima volta.
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