«Il povero è dominato dall’urgenza del bisogno, ma quale non è il suo giubilo quando, obbligato ad assentarsi dalla sua casa per badare ai lavori dei campi, vede che i suoi pargoli sono affidati a cure egualmente paterne delle sue e molto più illuminate?» Con queste parole il sindaco di Bianzè, cavalier Carlo Terzago, nel 1856 chiedeva ai concittadini più facoltosi di mettere mano al portafoglio per aprire l’asilo del Paese. Centocinquantacinque anni dopo, il suo successore, Maurizio Marangoni, lo chiude e anche lui sostiene di farlo per i poveri. «Troppi bianzinesi iscrivono i figli agli asili pubblici degli altri paesi perché non riescono a pagare la retta della scuola d’infanzia paritaria» ha tuonato a fine anno il primo cittadino, ex aennino, oggi pidiellino e domani chissà. «Sciocchezze, abbiamo quattro rette gratuite a disposizione dei meno abbienti, ma solo una famiglia ha fatto richiesta quest’anno, segno che il problema è un altro» è stata la replica della presidente dell’ente, Vilma Bussa. Il paese, duemila anime in mezzo ai campi di mais del Vercellese, si è immediatamente spaccato. Le mamme dei 54 bambini che ogni giorno varcano il portone dell’ex monastero delle Orsoline si rifiutano di credere che l’istituzione più antica di Bianzé venga cancellata, ma, ad ogni buon conto, hanno preiscritto i figli sia alla scuola d’infanzia paritaria, associata alla Fism, sia all’asilo statale, che ancora non c’è ma secondo Marangoni aprirà i battenti in settembre. «Il provveditore piemontese De Sanctis mi ha dato garanzie, ho la certezza che aprirà» assicurava ancora ieri, facendo spallucce a chi gli chiedeva cosa ne sarà della vecchia scuola materna. «I locali sono nostri e dovranno lasciarli liberi – si è limitato a confermarci – e le convenzioni non sono state rinnovate». Sembra una bega paesana, invece è una questione di numeri e di libertà educativa. Il sindaco cita gli indici della crisi economica, incontestabili anche se riesce difficile credere che rette da 80 euro al mese, pasti compresi, siano insostenibili in un paesotto dove tutti lavorano nei (propri) campi o alla Gammastamp (un fornitore Fiat, un migliaio di dipendenti con l’indotto). Piuttosto è vero che la scuola paritaria si trova in deficit e che il Comune è chiamato a contribuire; tuttavia, a scorrere i conti si scopre che il disavanzo è di poche migliaia di euro (su 160mila del bilancio), che è dovuto principalmente alla scelta di offrire il servizio «primavera» per i bambini di 2 e 3 anni (che l’asilo statale non fornirebbe) e che il contributo erogato dal Comune è una partita di giro, cioè serve a pagare i servizi di mensa e pulizia forniti dalla stessa amministrazione locale. Neanche la scelta del sindaco, poi, è indolore sul piano finanziario: anche se non sarà il Comune a pagarli, fa notare infatti la Fism Piemonte, i costi annui del servizio lieviteranno dai 560 euro a 6100 per bambino. «Inoltre – puntualizza Bussa – il nostro asilo è un’associazione. I genitori sono soci e tutti ci impegniamo a tenere basse le rette e a fornire un servizio eccellente, tant’è vero che diversi utenti provengono dai centri vicini. Siamo un esempio di sussidiarietà e il sindaco ci strangola». La Bussa di più non dice, ma è chiaro che è guerra aperta. Di quelle che durano anni, come la nebbia e le zanzare in queste terre arabescate dai canali. Da quando il Comune ha sfrattato il vecchio asilo – che per tutti è ancora «quello delle suore» anche se le religiose se ne sono andate dieci anni fa – a Bianzè hanno cominciato a chiamare Marangoni «il novarese», per via dei suoi natali, e in terra eusebiana questo non è precisamente un complimento. Si sa, il paese è piccolo e la gente mormora: così, tra un bianchino e un caffè al bar Bigliardi (con la g), vieni a sapere che il sindaco pdl sarebbe «in trattative» con la Lega. Sembra, anzi, che il Carroccio piemontese lo spalleggi in questa crociata contro la scuola paritaria ma non sa come spiegarlo ai suoi: l’asilo di Bianzè non è cattolico e quindi non si giustifica come uno sgarbo ai «vescovoni», eppoi in tempi di battaglie federaliste non è bello chiudere una istituzione locale e scaricarne le spese sullo Stato. Anche il Pdl però è in imbarazzo: ha invitato qui la Gelmini credendo che il paese fosse dalla parte del sindaco. La visita del ministro, in programma per oggi, è già stata ridimensionata a visita privata e non si sa neppure se ci sarà.