mercoledì 25 aprile 2018
Il Quirinale: è l'ultima chance. Il muro renziano, il ricorso alla piattaforma Rousseau: tanti gli elementi che non autorizzano l'ottimismo
Il Colle dà tempo. Ma ora teme le nuove urne
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Per la prima volta al Quirinale il rischio del ritorno al voto a ottobre viene considerato concreto. È un Sergio Mattarella molto preoccupato quello che, a sera, consulta i suoi più stretti collaboratori nel consueto 'consiglio di guerra' quotidiano per affrontare quello che è - forse - è il più complicato avvio di legislatura della storia repubblicana. Niente a che vedere con le difficoltà di Giorgio Napolitano nel 2013 (che non a caso ha espresso umana «solidarietà » al suo successore): in quel caso c’era almeno un chiaro vincitore in una delle Camere, e si trattava di trovare solo un alleato, per il Pd, per fare maggioranza anche al Senato. Qui invece di partiti semi-vincitori ce ne sono due che, dopo la rottura della trattativa, restano d’accordo solo su un punto: spuntare l’ultima carta che il Quirinale si accingeva a usare: un governo 'del presidente' affidato a una personalità che Mattarella potrebbe mettere in campo per uscire dall’impasse. Matteo Salvini, lunedì, era andato vicino allo scontro istituzionale con il Colle. Ma con l’altro contendente, ieri sera, al termine delle consultazioni con Roberto Fico, le cose non è che siano andate molto meglio. Perché a fronte di un difficilissimo tentativo di mettere d’accordo Pd e M5s (per il quale sul Colle non ci si fanno soverchie illusioni) anche Luigi Di Maio ha chiarito in modo inequivocabile che di «governi tecnici, di garanzia o di scopo» non se ne parla nemmeno.

Sì, c’è stata l’auspicata disponibilità del Pd da parte di Maurizio Martina. condizionata all’abbandono da parte del M5s della trattativa con la Lega. Sì, poi Di Maio ha retto il gioco, dando l’idea quindi che la trattativa possa essere avviata. Ma la strada indicata dai due partiti è quantomeno ardua. Certo, se Fico dovesse chiedere un prolungamento del mandato (che si chiude domani) per dare più tempo alle due forze politiche non gli verrebbe negato. Ma il percorso a ostacoli che si profila non autorizza alcun ottimismo. Il Pd ha bisogno di un’autorizzazione della direzione per l’avvio stesso della trattativa, e il rispolvero dell’hashtag renziano
#senzadime da parte dei fedelissimi dell’ex segretario viene considerato già un segnale chiaro del muro che intende alzare nell’organismo interno. Di Maio dal canto suo ha tirato fuori tutti i punti più controversi della trattativa enumerando a uno a uno tutti i cavalli di battaglia del Movimento, dal reddito di cittadinanza ai tagli alla politica, tenendo alta la posta con un alleato già così riottoso. Poi, per la prima volta, in una trattativa già complicatissima di suo viene inserito un elemento inedito. Certo, anche in Germania il governo è stato appeso al via libera degli iscritti del Pse, ma la piattaforma Rousseau è strumento troppo controverso per non immaginare che diventi anche questo un ulteriore ostacolo alla chiusura dell’accordo. Ma quand’anche si arrivasse alla condivisione programmatica resterebbe sul tavolo un tema forse ancora più complicato, cioè la premiership. Di Maio prudentemente ha evitato di ribadirlo, ma al Quirinale c’è la consapevolezza che M5s su questo non intende trattare. Insomma, anche i margini per un governo tecnico politico M5s-Pd con una guida 'terza' sono risicatissime. E se la direzione dem fosse chiamata a dare via libera anche a una presidenza Di Maio le possibilità che il Pd non decida di rendere pan per focaccia allo streaming imposto a Bersani sarebbero davvero ridottissime.

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