I volti politici tra eredità e protagonismi
Con l’economia al palo, e il conflitto Hamas-Israele che si è aggiunto a quello in corso in Ucraina, nel 2023 la politica italiana ha giocato di sponda con i drammatici fatti internazionali. Mentre le tappe elettorali hanno registrato nuovi picchi di astensionismo, a riprova di una disaffezione crescente. I fatti più rilevanti riguardano due partiti a lungo baricentro per il governo del Paese, Pd e Forza Italia. I dem travolti dall’onda-Schlein, ora alle prese con la difficile riorganizzazione del partito. I forzisti storditi dalla perdita del fondatore Silvio Berlusconi, anima politica ed economica del movimento e riequilibratore dei rapporti con Fdi e Lega. Le Europee saranno una tappa decisiva per i dem e per gli azzurri: se non sarà chiaro il destino delle due principali forze europeiste, non sarà chiaro nemmeno il volto della Terza Repubblica. Fronte governo, lo stallo economico ha spinto a iniziative identitarie. E mentre si affievolisce per centrodestra e centrosinistra la minaccia di un Terzo polo autonomo, la vera incognita diventa un generale ora in campo nella battaglia delle idee: Roberto Vannacci.
Ascesa e fatiche di Schlein: non l’hanno vista arrivare, ora vuole essere «federatrice»
Elly Schlein - Ansa
Stretto nella morsa delle correnti, il Pd, in costante perdita di consensi, si presenta all’inizio del 2023 con il Congresso in atto e Stefano Bonaccini vincitore della battaglia tra gli iscritti. A sfidarlo alle primarie l’outsider che aveva lasciato i dem nell’era Renzi e che ha ripreso la tessera determinata a strappare lo scranno del Nazareno ai capibastone responsabili, a detta di tutti, della perdita di appeal del partito. In pochi danno credito alla rimonta di Elly Schlein, che sembra invece piacere alla base. I leader interni non la «vedono arrivare» se non all’ultimo, e molti di loro salgono sul carro in corsa. È il 26 febbraio quando il Pd incorona la prima donna segretaria. Il partito è diviso a metà. Le aspettative sono alte, ma anche forte è la delusione dell’area riformista che si sente estromessa. La leader neo-eletta non vuole una gestione collegiale, perché intende rispettare il suo programma che parla a sinistra. Poi però concede spazio (non troppo) alla minoranza interna nella sua segreteria e la poltrona di presidente va allo sfidante sconfitto. Quanto alla vecchia guardia che pure l’ha sostenuta, resta - sopraffatta - alla finestra. I sondaggi iniziano a premiarla, e Schlein dimostra di avere un buon rapporto con le piazze. Non si lascia sfuggire occasione per un bagno di folla. Ma le amministrative di primavera si avvicinano e la leader dem ha bisogno di alleati. ll Terzo polo (ancora unito) è pronto a correre insieme, ma per Schlein l’obiettivo è un’intesa con i 5 stelle. L’ipotesi del “campo largo” costata cara a Letta sembra l’unica alternativa a un centrodestra granitico alle urne. Ma tra Pd e M5s è una sfida nella sfida e Conte non cede. La leader dem continua però a tessere la sua tela. Dall’altra parte c’è la prima donna premier. E Schlein cerca la sfida da donna a donna, che taglia fuori le altre minoranze, per consolidarsi referente del centrosinistra. Per costruire la coalizione, individua invece temi comuni. Il salario minimo è un collante. E Cgil e Uil supportano. Ma quando Schlein prova ad allargare l’agenda, Conte vigila e i temi divisivi prevalgono, specie con le Europee che incombono con la voglia di contarsi per poter dare le carte.
Il premierato all’italiana varato con la testa già al referendum popolare
La premier Giorgia Meloni - Ansa
La maggioranza punta tutto sul premierato. Giorgia Meloni abbandona il suo pallino di sempre, fin dai tempi di Alleanza Nazionale (il semi-presidenzialismo alla francese propugnato da Gianfranco Fini) e apre all’elezione diretta del presidente del Consiglio. Impone però una chiusura netta ai governi tecnici e alla possibilità di cambi di casacca che spesso ne favoriscono la nascita. Chissà perché al materiale estensore del progetto, il costituzionalista Francesco Saverio Marini è stato negato il “sigillo” della denominazione dello stesso, ma si fa sempre in tempo, se dovesse uscire indenne dal referendum confermativo, a battezzarlo “Marinellum”. Il ripiegamento, probabilmente, è da collegare all’obiettivo (dichiarato) di lasciare inalterate le prerogative del capo dello Stato, che in realtà ne escono ridimensionate eccome, privato come è di quelle relative all’indicazione del capo del governo e allo scioglimento delle Camere. L’altro obiettivo, anch’esso non raggiunto, voleva essere probabilmente quello di fare breccia nell’opposizione. Alla fine però apre al premierato solo la ristretta pattuglia di Italia Viva, mentre il Pd avrebbe accettato solo l’opzione del cancellierato alla tedesca, e resta duramente contrario al progetto. Il ddl costituzionale sul premierato è stato adottato il 3 novembre 2023 dal Cdm, che lo ha approvato all'unanimità. Si compone di cinque articoli. Le due previsioni più contestate dalle opposizioni, ma anche da autorevoli giuristi, quella che attribuisce automaticamente il 55% dei seggi alla maggioranza che sostiene il premier e quella, inserita il giorno prima dell’approvazione, che consente alla stessa maggioranza “bloccata” di eleggere un altro capo del governo, una volta sola però. Di fatto così l’insostituibilità viene negata al premier eletto e attribuita paradossalmente al premier subentrante. Una obiezione che potrebbe portare a rivedere la norma nel corso del dibattito parlamentare. Ma il cammino è ancora lungo e irto di incognite: la più pesante, quella finale, affidata al responso degli italiani, a seguito del referendum.
La cavalcata di Vannacci: il generale-ideologo che nessuno vuole frenare
Roberto Vannacci - Ansa
Roberto Vannacci non è solo un caso editoriale, politico e istituzionale. È anche un caso per gli appassionati di logica: se è in carica il governo più a destra della storia repubblicana, come può essere spuntato dalle fila dell’Esercito un generale in servizio con due stelle che porta in un libro (e in piazze e teatri) argomentazioni ancora più a destra di quelle di Meloni e Salvini? Il rompicapo lo si risolve più osservando i silenzi e gli ammiccamenti intorno al parà-scrittore-ideologo che non vivisezionando i contenuti dell’ormai famosissimo “Il mondo al contrario”. I silenzi, ad esempio, della premier. E gli ammiccamenti, ad esempio, del capo della Lega (al punto che si ipotizza una candidatura di Vannacci alle Europee con il Carroccio). Insomma, Vannacci pare risultare utile. Utile è quella visione della realtà che potrebbe essere considerata dell’“uomo qualunque”, ma che in verità infila abilmente il coltello nelle fragilità delle democrazie. Perché, si sa, quando si governa si rischia di perdere consenso, e quanto può far bene avere fuori dal Palazzo dei presìdi affascinanti, che tengono nel mirino l’avversario politico e culturale. Insomma se è vero che Vannacci si è fatto strada da solo, è vero anche che non ha trovato grossi intralci. Uno, in realtà, l’ha trovato. Il suo ministro Crosetto, che ha posto entrambi i temi: quello istituzionale di un generale che si fa partito, e quello politico di una piattaforma fuori dall’asse euro-occidentale. Ma il titolare della Difesa appare solo, e anche questo significherà pur qualcosa.
L’addio a Silvio Berlusconi, sintesi del centrodestra rimasto senza eredi politici
Il feretro di Silvio Berlusconi ai funerali in piazza Duomo, a Milano - Fotogramma
l 12 giugno del 2023, alle 9.30, l’evento che ha chiuso un’epoca. Al San Raffaele si chiude a 86 anni l’esistenza di Silvio Berlusconi, l’insostituibile, l’intramontabile, tendenzialmente eterno nella sua auto-rappresentazione. Era ricoverato per accertamenti legati all’inesorabile decorso della leucemia di cui soffriva da tempo. La sua morte, sebbene non inaspettata, coglie lo stesso tutti impreparati. Fino alla fine dominus assoluto di Forza Italia, la creatura da lui fondata, ancora decisiva per regalare la maggioranza a Meloni. Figura controversa e divisiva ancor prima di entrare in politica, che l’arcivescovo di Milano Mario Delpini evita di celebrare - ma anche di giudicare - nell’omelia funebre in Duomo, salutando l’uomo d’affari e il politico, amato e detestato in egual misura: «È un uomo e ora incontra Dio». In grado di segnare un’epoca con la discesa in campo ma anche con l’uscita di scena. Il 29 settembre 2023 il tributo postumo da parte di tutti: «Oggi avrebbe compiuto gli anni un grande combattente, un amico, un alleato e un leader instancabile per la nostra nazione», così Giorgia Meloni lo ricorda nel giorno in cui avrebbe compiuto 87 anni. Affettuose anche le parole del leader leghista Salvini: «Buon compleanno Silvio, ci manchi». A Paestum, in quella stessa data, si celebra il “Berlusconi day”, in cui il neo segretario Antonio Tajani, ritirata la carica del presidente come si fa con la maglia numero 10 del fuoriclasse, si prende il partito nel segno della continuità, esibendo sintonia con la famiglia. Giorgia Meloni, memore del tracollo salviniano, cura il consolidamento di Fdi senza inseguire il disegno della reductio ad unum della coalizione. Ma le elezioni europee incombono e complicano non poco la coabitazione al governo. Pesano eccome le tre diverse collocazioni. Da un lato Salvini alleato degli “impresentabili” dell’ultradestra francese e tedesca, dall’altro Forza Italia saldamente dentro la maggioranza “Ursula”, e in mezzo Meloni, personalità di punta dei Conservatori che ambiscono a scardinare l’anomala alleanza fra Ppe e Pse. Il pasticcio sul Mes nasce in questo scenario e farà fatica a ricomporsi, mettendo in concorrenza Fdi e Lega e imbarazzando Fi. Accade anche perché la coalizione non ha (almeno per il momento) una “sintesi” come lo era il Cav.
Il Terzo Polo eterna vittima dei “brutti caratteri”, ma la voglia di centro resiste
Matteo Renzi e Carlo Calenda - Ansa
Il capolavoro politico del 2023 porta senz’altro la firma di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Scavallate le elezioni del settembre 2022 con un tutt’altro che disonorevole 7,8%, ci hanno messo meno di un anno per giungere all’esito che tanti avevano previsto: insulti, rottura politica e divisione dei gruppi parlamentari. La vulgata vuole che la responsabilità sia del «brutto carattere» dei due protagonisti. E seguendo questa ipotesi non si va lontani dalla verità. Entrambe le forze politiche derivate dalla scissione, Azione e Italia Viva, restano all’opposizione. Entrambe collaborano con il destra-centro sui temi della giustizia. Sì, ci sono divergenze sulla riforma del premierato, ma la lite è precedente al varo della riforma costituzionale. Anche la disputa interna alla mai nata federazione centrista vale quel che vale: si sa che i leader si appellano al “metodo” quando devono giustificare l’ingiustificabile. Il risultato è che entrambi, Calenda e Renzi, ora si avviano verso le Europee con il terrore di non superare lo sbarramento del 4%. E con un potere enorme di negoziazione consegnato ai potentati locali. Anche su Azione e Iv, insomma, deve essersi calata la maledizione che blocca ogni ipotesi di neocentrismo. Nel 2013, ad esempio, la promettente Scelta Civica di Mario Monti dilapidò in tempi record un 8,3% incassato nonostante la presenza di centrosinistra, centrodestra ed M5s. Ma se gli errori a ripetizione non hanno cancellato ancora questa fetta di elettorato, vuol dire che la domanda c’è ancora.
Slogan, intese in panne e decreti da rivedere: il boomerang-migranti
I soccorsi sulla spiaggia di Cutro dopo il naufragio - Ansa
«Mai dire gatto, se non ce l’hai nel sacco», recita un adagio che, nel 2023, potrebbe attagliarsi ai tentativi dell’esecutivo di governare i flussi migratori. Pensiamo al tanto decantato (e altrettanto discusso, per i costi milionari e per i dubbi di natura giuridica) protocollo d’intesa per aprire due centri per migranti in Albania, in cui trattenere fino a 36mila richiedenti asilo l’anno. Siglato a novembre a Roma dai premier Meloni e Rama e presentato con enfasi, sarebbe dovuto entrare in funzione a inizio 2024, ma è ancora alle prese con la ratifica del Parlamento e con lo stop della Corte costituzionale albanese, che deciderà sulla sua sorte il 18 gennaio. Destino analogo per l’accordo con la Tunisia, targato Ue e ispirato dall’Italia, propagandato come “un modello” ma ancora non entrato davvero in funzione. E che dire del “Piano Mattei” di cooperazione con l’Africa, la cui presentazione è slittata al 2024? Nel frattempo, sono arrivati via mare in Italia 153mila migranti, contro i 101mila del 2022. Un flusso che mette alla prova i soccorsi in mare e l’accoglienza, con eventi tragici come il naufragio a Steccato di Cutro, che ha commosso l’Europa e sulle cui responsabilità indaga la magistratura. Una tragedia evocata dall’esecutivo per giustificare l’approccio emergenziale (benché l’immigrazione sia una costante da decenni) e la decretazione d’urgenza con cui ha bersagliato l’impegno delle ong in mare, ristretto la protezione umanitaria e disposto che i minori 16-18enni vadano in centri per adulti. Per non parlare della decisione di bollare come “sicuri” alcuni Paesi di provenienza (vedi Tunisia) bocciata da sentenze a cui il governo ha risposto innescando uno scontro con la magistratura, partito coi ricorsi sul caso Apostolico e a rischio di finire davanti alla Consulta. Pure nel caso di norme di lungo respiro, come il decreto flussi triennale sull’ingresso di 452mila lavoratori stranieri regolari, la burocrazia-lumaca incombe sugli esiti. Il tutto mentre la partita Ue sul Patto per le migrazioni non è ancora chiusa. Insomma, al di là degli slogan, l’approccio propagandistico ed emergenziale, nella gestione dei flussi migratori, non sta pagando. E più che un pacchetto di possibili soluzioni, somiglia a un’affannosa rincorsa in cui finora di gatti, nel sacco del governo, se ne contano pochi.