giovedì 12 novembre 2015
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​La signora porta i segni di quanto accaduto, eppure non ha perso la sua finezza. È silenziosa. Appena arrivata alla Caritas beneventana per ritirare la lavatrice, dopo che ha dovuto buttare la sua, insieme a qualsiasi cosa fosse in casa, per lo "tsunami" (come lo chiamano qui) di fango entratovi un mese fa. Piange silenziosamente: «Ho perso tutto». Don Nicola De Blasio la prende fra le braccia, le sorride, le dice «E no, che fai? No, semmai prima, non ora!». Il direttore della Caritas diocesana in realtà ha una battuta per chiunque passi da queste parti. «Bisogna ridere», dice: «Anche questo serve a non perdere, e a non far perdere, la speranza».
«Ho perso tutto». Ancora oggi «non possiamo dire che l’emergenza è finita, non lo è affatto», dice Angelo Moretti, il coordinatore Caritas. Per accorgersene basta qualche minuto di macchina con Luana (imprenditrice e volontaria Caritas) fino alla contrada Pantano, per portare vestiti e cibo a Giuseppe Catalano e sua moglie. Casa svuotata, fango ai piedi di quel che era il mobile della cucina, e prese elettriche smontate «per farle asciugare prima». Niente elettricità, niente acqua, niente gas. «Ho perso anche l’automobile – dice Giuseppe – i capannoni della mia piccola azienda agricola sono crollati, i trattori sono pieni di fango e quel po’ di raccolto che dovevamo fare per Natale è da buttare».Paura per i posti di lavoro. Stando ai primi calcoli, la terribile sventagliata di acqua, fango e detriti su Benevento e provincia costerà un miliardo di euro. Ha sdraiato molte aziende e fatto venir voglia a diversi imprenditori di "delocalizzare". Qui serpeggia, anzi monta, la paura per millecinquecento, duemila posti di lavoro.Un chilometro prima della casa di Giuseppe, c’è quella di Ermelinda Civetta e Raffaele Panzam, che producono tabacco pregiato, per sigari toscani. «L’alluvione aveva ricoperto di acqua e fango il raccolto: è da buttare. Avevamo subito lavato le foglie di tabacco una per una e messe ad asciugare, alcuni giorni fa sono passati gli ispettori del tabacco e a malincuore ci hanno detto che non possono essere salvate. Vede come stanno marcendo?». China la testa. La rialza subito: «Chi tutelerà adesso noi piccole aziende?».Il "Modello Sannio". La Caritas di Benevento intanto aiuta tutti e prima le famiglie colpite, chi già viveva un disagio, chi è più fragile. S’è ritrovata, volente o... nolente, a coordinare la gran parte dei volontari e degli interventi d’aiuto. Ha mosso (tanti) esercizi commerciali e (tanti) professionisti di buona volontà, messo su una squadra formata da una ventina di architetti, ingegneri e geologi che – gratuitamente – da giorni effettua sopralluoghi nelle case per quantificare i danni: «Vorremmo far rientrare le persone nelle proprie case entro Natale», spiega don De Blasio. Nella sede della Caritas diocesana la "processione" di persone prosegue: gente che chiede una mano, gente che vuole offrirla, volontari d’ogni età. Quasi tutte le stanze, compresi gli uffici, sono piene di vestiti, cibo a lunga scadenza, materiale per l’igiene personale. L’inaugurazione ufficiale avverrà il 30 novembre e la benedizione toccherà a don Francesco Soddu, il direttore di Caritas italiana. Quella ufficiosa c’è già stata. Il 15 ottobre...Da L’Aquila a Benevento. La Caritas bevenentana ha compiuto, dal 15 ottobre, millecentocinquanta interventi su trecento famiglie colpite dall’alluvione. Senza contare l’enorme lavoro di raccordo, i beni acquistati e distribuiti per poco meno di centomila euro (come un’auto per un papà che aveva perso la sua nel fango e non sapeva più come portare il figlio gravemente disabile a far le terapie) e tutti rendicontati, i sopralluoghi e tutto il resto. Ci sono, poi, le storie nella storia. Come quella di Gabriella Poppa. Medico, nata a Benevento, vissuta a vent’anni L’Aquila. «La notte del terremoto, quel 6 aprile di sei anni fa, ero spaventata, stanca, dalle tante scosse e decisi di andare a dormire in macchina. Così mi sono salvata, perché la mia casa è "esplosa"». Poi tornò a vivere nel capoluogo del Sannio e adesso fa la volontaria per la Caritas: «Sono stata vittima di un terremoto. Come potevo, proprio io, stare a guardare?».
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