Dal report di Eunnavfor che riportava la consegna di videocamere per le motovedette libiche
Filmati protetti da chiavi cifrate e documenti chiusi negli archivi riservati. È così che l’Europa tiene nascoste le prove delle violazioni dei diritti umani commesse dai guardacoste libici.
Alla vigilia del voto in Parlamento, chiamato ad approvare l’aumento dei fondi destinati ai guardacoste libici, emerge una documentazione ufficiale che conferma come la registrazione dell’area marittima di ricerca e soccorso libica sia stata confezionata allo scopo di offrire un ombrello legale per sottrarsi all’obbligo del soccorso, a costo di continuare a chiudere gli occhi sulle violazioni dei diritti umani.
Già nel 2017 e nel 2018 il comando delle operazioni navali europee non aveva nascosto la preoccupazione, soprattutto perché era noto che «anche i centri di detenzione sono sotto il controllo delle milizie e vengono spesso segnalate gravi violazioni dei diritti umani», si legge in un rapporto di “Eunavfor” classificato come «restricted» (riservato) chiuso nel febbraio 2018. Appena tre mesi prima, il 14 dicembre 2017, la Libia aveva ritirato l’iscrizione Sar proprio perché non in grado di gestire un coordinamento degli interventi in mare nel rispetto delle norme internazionali.
L'aggressione della motovedetta libica su cui indaga la procura di Agrigento - Seabird / Sea Watch
A questo punto torna in gioco l’Italia e stavolta lo fa di tasca propria. Tra il 2017 e il 2018, «la Guardia Costiera italiana ha sostenuto la Lcg (Libyan coast guard, ndr) con 1,8 milioni di euro dal Fondo per la sicurezza interna, con la valutazione della Lcg delle loro capacità di ricerca e soccorso (Sar)». Un’affermazione che arriva due anni dopo. È contenuta in una risposta della Commissione Ue a una interrogazione dell’Europarlamento. Nella spiegazione di Bruxelles, non smentita dall’esecutivo italiano né da chi all’epoca era al governo (l’attuale commissario Ue Paolo Gentiloni e l’allora ministro degli Interni, Marco Minniti, entrambi del Pd). Il supporto italiano, si legge ancora, permise di ottenere «la notifica formale della Libia della loro area Sar all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) e con la conduzione di uno studio di fattibilità per l’istituzione di un centro di coordinamento del salvataggio marittimo libico».
All’autunno scorso erano attivi «due progetti a sostegno della Lcg. Uno da 57,2 milioni di euro, attuato dal Ministero dell’Interno italiano, principalmente a sostegno dell’Amministrazione generale per la sicurezza costiera (Gacs)», spiegava sempre la Commissione Ue. L’altro progetto vede destinataria di fonti l’agenzia Onu per le migrazioni (Oim) «con una componente di 900.000 euro per migliorare la comprensione della Lcg degli standard internazionali sui diritti umani». Neanche un cinquantesimo del totale stanziato.
Che cosa avvenga davvero a bordo delle motovedette libiche è difficile saperlo. Eppure le prove delle violazioni si troverebbero da qualche parte tra Roma e Bruxelles. Custoditi sotto chiave cifrata, ci sono filmati in presa diretta che mai sono stati resi noti. Ancora una volta è uno dei rapporti «restricted» a rivelarlo. Si apprende adesso che il comando navale dell’Ue aveva infatti dotato le motovedette libiche di piccole videocamere che trasmettevano i filmati a un archivio virtuale. «Il monitoraggio remoto include anche l’uso di due kit di Go-Pro camera, forniti da Eunavformed alla Libyan Coast Guard alla fine del 2017 per equipaggiare le motovedette. Queste telecamere – precisa uno dei report di inizio 2018 – riprenderanno le immagini delle operazioni di Lcg, che saranno poi caricate su un sistema basato su cloud per l’analisi per il personale Eunavformed». Ad oggi non è dato sapere di quante ore di registrazione disponga Eunavformed, né se i libici abbiano sempre usato correttamente il sistema di monitoraggio remoto, e neanche cosa contengono quei filmati.
Chi invece non si nasconde sono le organizzazioni umanitarie delle Nazioni Unite. Che non hanno osservato alcun potenziamento dei diritti umani nel corso delle operazioni di cattura dei migranti in mare e della loro successiva deportazione nei campi di prigionia. Non è un caso che proprio l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr-Acnur) nei settimanali rapporti da Tripoli anziché di “salvataggi” preferisce parlare di “intercettazioni” in mare.
Che Italia ed Europa siano al corrente delle cospicue violazioni dei diritti umani lo ha ribadito Vincent Cochetel, inviato dell’Unhcr per il Mediterraneo Centrale. «Ci è stato segnalato più volte – dice – l’uso sproporzionato della forza da parte di alcuni membri di Lcg/Gacs/Marina». Si tratta delle tre principali entità libiche incaricate di pattugliare le coste. «Tutte queste informazioni – aggiunge Cochetel – sono state condivise durante le conferenze “Share Med” organizzate da Eunavformed».