foto archivio Boato
Una critica dura, quella della Corte dei conti, alla gestione tra il 2012 e il 2018 del "Fondo per le politiche della famiglia", affidato al Dipartimento delle politiche familiari di Palazzo Chigi. Gli appunti sono seri. Intanto, da un semplice confronto numerico, i magistrati contabili fanno notare che nel periodo preso in esame il Fondo ha mosso 87,38 milioni, a fronte dei 754,58 stanziati nel quadriennio 2007-2010. Segno di un calo di attenzione molto forte cui fa da contraltare l’ultimo finanziamento, quello relativo alla manovra 2019, che rimette nella cassa 104,8 milioni.
Proprio il ritorno a stanziamenti più cospicui richiede di correggere alcune «criticità e carenze», scrive la Corte. Nel periodo 2012-2018, dice la delibera numero 12 pubblicata ieri, la quota statale è risultata nettamente prevalente rispetto alle quote regionali. E la stessa quota statale è stata «destinata prevalentemente al funzionamento dell’apparato istituzionale, compresi gli organismi collegiali operanti a livello nazionale ed allo svolgimento, in modalità esternalizzata attraverso molteplici convenzioni e accordi, delle numerose competenze». Insomma i soldi, già pochi, sono stati spesi per tenere viva la macchina e per contratti di "outsourcing".
Alla luce del nuovo finanziamento da oltre 100 milioni destinato al contrasto della crisi demografica, al sostegno alla natalità e dei nuclei "a rischio", proseguono i magistrati, urge un «rinnovato impegno» del Dipartimento. «L’analisi – è scritto nella delibera – ha portato in emersione la mancanza di una programmazione, tanto a livello nazionale quanto a livello locale», anche per colpa del mancato aggiornamento del Piano nazionale 2012, aggiornamento «non più procrastinabile». Serve una «riflessione» anche sul «monitoraggio», mentre sul piano del controllo delle risorse erogate alle Regioni «il sistema è svolto a prescindere da una rendicontazione completa». Urge quindi un «adeguamento», su un punto in particolare: «la quantità e qualità di risorse che a livello nazionale rappresentino una risposta concreta alle esigenze della famiglia». Infatti, conclude la Corte, le risorse statali che beneficiano davvero le famiglie «hanno rappresentato una parte residuale rispetto alle spese di funzionamento e di quelle per l’espletamento, con modalità esternalizzata, delle competenze istituzionali».