
ANSA /FRANCO SILVI
La bolla immobiliare si è sgonfiata un po’ ma non è scoppiata. Non sono buone notizie quelle che arrivano dal Banca centrale europea. Nell’anticipo del bollettino dedicato alla dinamica dei prezzi delle abitazioni pubblicato ieri che analizza il mercato e le condizioni di finanziamento. Nei prossimi anni i prezzi delle case, dopo una piccola flessione a cavallo del 2023, sono destinati ad aumentare. La Bce parla di un “aggiustamento limitato” rispetto alle ultime crisi economiche, con prezzi rimasti elevati e ormai tornati (il dato è relativo al terzo trimestre del 2024) ai livelli massimi raggiunti nel 2022.
L’effetto boom-bust, vale a dire l’andamento altalenante di espansione e contrazione, in genere direttamente proporzionale al Pil, questa volta non c’è stato. In particolare il bollettino della Bce segnala come, rispetto alle ultime due crisi economiche - quella finanziaria globale del 2007 e quella successiva dei debiti del 2010 - , il valore degli immobili è rimasto sostanzialmente stabile. Si è verificato un calo cumulativo del 3% in un anno e mezzo, più contenuto e più breve rispetto alla flessione del 5% registrata nei due casi precedenti.
Il livello dei prezzi, spiega la banca centrale «ha avuto un impatto negativo sull’accessibilità economica delle abitazioni, nonostante una politica monetaria nel frattempo meno restrittiva», con il taglio dei tassi di interesse. Il risultato è che l’elevato costo delle costruzioni e i prezzi di acquisto stabili ostacolano l’aumento dell’offerta nel mercato immobiliare, contribuendo anche ad alimentare la scarsità nel mercato degli affitti. Considerando la combinazione di limitazioni dell’offerta e di livelli elevati della domanda (soprattutto per le case nuove), «l’andamento dei prezzi delle case potrebbe continuare a seguire un percorso di crescita, anche se ciò potrebbe non rappresentare un segnale del tutto positivo per l’economia nel suo complesso» si legge ancora nel bollettino.
Una delle ragioni di questo “aggiustamento limitato”, spiega la Bce, è che il calo dei prezzi ha interessato solo un numero ristretto di Paesi e non ha avuto le caratteristiche di una vera e propria recessione. In sostanza si è trattato di un «riassestamento ordinato dell’impennata registrata durante il periodo della pandemia» quando complice la rivoluzione dello smartworking e l’accumulo di risparmi sui conti correnti, la domanda di case è aumentata e con essa i prezzi.
La scomposizione della crescita dei prezzi nell’Eurozona dà qualche indicazione in più. Mentre durante la crisi finanziaria e quella del debito le dinamiche erano in gran parte causate dai Paesi allora definiti “periferici” in particolare dell’Est, le recenti tendenze sono state trainate dai Paesi “centrali”, in particolare dalla Germania che nel terzo trimestre ha perso ancora uno -0,7% e dalla Franca con un secco meno 3,5%. Sono stati però solo 12 i Paesi che hanno registrato un calo dei prezzi. Con vistose eccezioni come la Spagna e il Portogallo dove gli aumenti sono stati dell’8 e del 10%.
Un elemento interessante è la riduzione del gap tra il costo delle case nelle capitali e quello degli immobili in generale. Secondo la Bce questo potrebbe riflettere il già elevato e quindi poco accessibile livello dei prezzi nelle capitali, ma più probabilmente l’impatto specifico della pandemia sul lavoro da remoto, che ha permesso ai lavoratori di trasferirsi più lontano dagli uffici e in aree meno costose. Dal 2006 al 2019 i prezzi delle case nelle capitali europee, in base ai dati Eurostat, sono aumentati del 71% a fronte di un aumento del 28% del resto degli immobili. Milano e Roma sono in buona posizione: rispettivamente ottava e tredicesima nella classifica delle città più care. Un recente report presentato al Parlamento europeo ha stimato un aumento dei prezzi delle case del 48% nell’Eurozona in dieci anni con l’Italia ferma ad un modesto 8,3%. Il problema però è che una fetta sempre più consistente di famiglie, il 10,6%, spende per la casa più del 40% del proprio reddito, trovandosi in stato di difficoltà. In quest’ottica va letto il lieve aumento dell’1%, evidenziato dal bollettino della Bce, di chi vive in affitto. Per scelta o per necessità si tratta del 35% della popolazione e con la prospettiva di un mattone ancora più inaccessibile, è una percentuale destinata a crescere.
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