Un momento della manifestazione dei pacifisti a Kiev - G.G.
Si entra in fila, passando per una gimkana di pareti alzate con i sacchi di sabbia. Sorriso nei volti, zaini sulle spalle e bandiere arrotolate, i sessanta “pacificatori” arrivati dalla Penisola superano i controlli all’ingresso del municipio di Kiev. Ospiti dell’amministrazione comunale che concede la Sala delle colonne, in un sontuoso stile neoclassico, per la prima manifestazione italiana di cittadinanza attiva che fa tappa nella capitale dell’Ucraina. «Ed è un fatto straordinario», sostiene Angelo Moretti, portavoce del Mean. Sigla che sta per Movimento europeo di azione nonviolenta e che raccoglie trentacinque realtà della società civile.
Con un sogno: dire in un Paese dove le bombe continuano a cadere che non basta la resistenza armata contro l’invasore russo.
Però, quando si esce dal palazzo, dopo cinque ore di confronto con i rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni locali, le distanze si avvertono tutte. Ma anche i possibili punti di convergenza. «Ed è da lì che occorre partire», avverte Moretti che con la sua «folle proposta» nel nome della pace, come la definisce, ha catalizzato le attese di un’Italia “dal basso” che vuole dare un altro volto alla solidarietà verso l’Ucraina e che è arrivata fino a Kiev per testimoniarlo. Superando le paure. E sfidando anche le sirene anti-missile che costringono la delegazione, appena sbarcata nella metropoli, a trascorre qualche ora della notte nel rifugio dell’albergo.
Un momento della manifestazione dei pacifisti a Kiev - G.G.
Il mondo cattolico è in prima linea nel movimento: dall’Azione cattolica a sacerdoti e religiosi che si spendono per gli ultimi nelle periferie. Poi ci sono i radicali o chi, come Marianella Sclavi, sociologa e attivista di respiro internazionale, è stata una delle prime esponenti di Unità Proletaria. «I segnali di questo conflitto c’erano tutti ma non li abbiamo saputi cogliere – sottolinea la studiosa che è l’anima culturale dell’iniziativa –. E fin da ora dobbiamo affermare che qui non potremmo avere una soluzione simile agli accordi di Dayton del 1995 per la guerra in Bosnia ed Erzegovina: avevano bloccato il conflitto ma hanno perpetuato la conflittualità».
È comunque sulla necessità di essere accanto a un popolo aggredito che la sintonia è totale. Il sindaco di Kiev, l’ex pugile Vitalii Klitschko, che fa gli onori di casa, chiama «amici» i pacifisti italiani. Il suo volto, trasformato in fumetto, si ripete lungo le pareti della sala insieme con le foto della città prima dell’aggressione di Mosca. «È sbagliato pensare che questa guerra non riguardi l’Occidente – dice –. Con coraggio siete venuti a vedere che cosa accade. Ci unisce la volontà di far cessare i combattimenti. E perciò serve un impegno “pro attivo”».
Anche il nunzio apostolico, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, chiede di «guardare negli occhi i bambini» a chi scambia «la guerra per un gioco e si limita a domandarsi: vincerà l’Ucraina o la Russia?». Poi aggiunge: «Allora si comprenderà che è un crimine». «Ciò che conta è essere assieme», risponde Riccardo Bonacina, padre del sito Vita.it. «Quando la brutalità si manifesta, occorrono gli anticorpi che sono quelli della relazione», aggiunge Marco Bentivogli, uno degli organizzatori del progetto con un passato da segretario generale dei metalmeccanici Cisl e oggi co-fondatore di “Base Italia”, start-up per promuovere la partecipazione.
Certo, colpisce vedere le bandiere della pace sventolate nel cuore politico di Kiev, mentre gli striscioni con lo slogan lanciato dal movimento, “Siamo tutti ucraini. Siamo tutti europei”, diventano un punto d’incontro. Perché è sull’Europa che l’“avanguardia” italiana e le voci di chi rappresenta un Paese sotto attacco si ritrovano ancora. Non è un caso che l’appuntamento si svolga l’11 luglio, nel giorno in cui si celebra san Benedetto, patrono del continente, ma anche che ricorda il massacro di Srebrenica del 1995 nell’ex Jugoslavia. «L’impegno per la pace in Ucraina coinvolge tutta l’Europa perché questa aggressione nasce dalla nostra volontà di essere parte della grande famiglia europea», ribadisce il sindaco. «Vogliamo un’Europa più forte, autonoma e autorevole», sprona Sclavi. Ben diversa da quella attuale, debole e divisa. «Tutti sono chiamati a contribuire a una svolta – replica l’eurodeputato Pd Pierfrancesco Maiorino, giunto con i pacifisti –. Ho votato per l’invio delle armi che però da sole portano unicamente a un’escalation, ma sono contrario all’aumento al 2% delle spese militari».
Però è sulla risposta militare che si avvertono le distanze. «L’Ucraina è un Paese pacifico. Ora abbiamo bisogno degli strumenti per difenderci e vincere», avverte il primo cittadino. Visione condivisa dalla sua gente. «Combattiamo per proteggere i valori europei», ripete Ihor Torskyi, ideatore della fondazione umanitaria “Act for Ukraine”, partner locale del Mean. «Non c’è alternativa per adesso alla via militare», gli fa eco il consigliere del presidente Zelensky, Vadim Svyridenko, che negli scontri con i russi in Donbass ha perso un arto. E Hanna Shevchuk, in prima linea per il soccorso ai bambini sfollati, incalza: «L’Ucraina è una barriera alla diffusione del male».
Allarga l’orizzonte l’arcivescovo Kulbokas: «Se un Paese come questo ha necessità di un appoggio militare significa che le azioni nonviolente hanno fallito. Ma fallire non vuol dire rinunciare, bensì rilanciare. È una scommessa enorme trovare nuove strade per far cessare le ostilità e uscire da una spirale di morte».