sabato 22 ottobre 2011
​I comitati della Valsusa hanno stabilito ferree regole per la protesta: volti scoperti, mani nude e ritirata immediata in caso di cariche della polizia. Il leader Perino: un gesto di disobbedienza civile.
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Le regole d’ingaggio decise mercoledì sera dall’assemblea generale dei No Tav, riunita a Villardora, non bastano. I comitati valsusini hanno deciso che la manifestazione di domattina sarà a volto scoperto e a mani nude, che si partirà da Giaglione per raggiungere la baita della Clarea; che da lì i manifestanti cercheranno di raggiungere le reti del cantiere dell’alta velocità per tagliarle; che se la polizia, 1600 uomini, caricherà, i dimostranti arretreranno senza reagire… Insomma, sarà un gesto di disobbedienza civile, «non simbolico ma non violento», perché come ha spiegato uno dei leader, Alberto Perino, «ci giochiamo una grossa fetta del nostro patrimonio di storia e di valori» e quindi i black bloc «se ne stiano a casa e li ringraziamo tanto della loro solidarietà». L’assemblea, naturalmente, approva: i No Tav amano dire di non avere leader ma le decisioni del direttorio (dove sono rappresentati comitati, liste civiche, centri sociali, associazioni e sindacato) non sono mai state contestate. Questa volta il nemico è in casa: un documento ha messo alla porta gli "anarcoinsurrezionalisti" additandoli come il vero link tra i No Tav e i disordini di piazza San Giovanni ma non è bastato a tranquillizzare la maggioranza. I tanti valsusini che hanno aderito a questa lotta per amore della loro terra o per paura di un disastro ecologico temono di trovarsi nel "caravanserraglio" dei violenti: l’ha evocato don Ettore De Faveri sul settimanale diocesano e quell’editoriale è un brutto segno per il movimento, perché don De Faveri è uno dei preti più attenti al disagio della valle. Infatti, anche don Silvio Bertolo, considerato la guida spirituale dei No Tav cattolici, oggi diceva di condividere «pienamente l’editoriale di don Ettore» e che «sarebbe meglio non marciare» e Diego Mele, consigliere comunale a Borgone e responsabile del Mcl ricordava che «lo sviluppo non si nutre di violenza». Questa volta non sfileranno i sindaci della valle: partecipare a un’iniziativa illegale li esporrebbe tutti al rischio di un commissariamento. «Ci saremo ma non taglieremo le reti» promette Giorgio Vair, sindaco di San Didero. A questo proposito, i comitati sostengono che «tagliare reti illegali non è reato», una posizione che apparentemente si rifà alla dottrina gandhiana della disobbedienza civile: in realtà sembra che esista un documento pubblico che, ricostruendo la genesi del cantiere della Maddaena, definisce «abusive» le recinzioni e gli sbarramenti. I No Tav potrebbero consegnarlo nelle prossime ore alla magistratura.

Carte bollate a parte, i comitati si rendono conto che il loro «patrimonio di storia e di valori» vacilla e per difenderlo sacrificano la componente più incontrollabile, gli anarcoinsurrezionalisti torinesi, un centinaio di giovani pronti, dicono qui, a «gesti disordinati», che sono stati invitati a disertare la manifestazione. La differenza tra i rasta dei centri sociali e i piercing anarcoinsurrezionalisti ce la spiega Andrea del centro sociale Askatasuna: «Entrambi contestiamo il governo, il sistema economico, questa gestione della crisi, ma noi riteniamo che per essere "contro" si debba essere "dentro" il sistema e quindi creiamo dei centri sociali con laboratori, palestre, studi medici, ecc. mentre loro vedono nell’anarchia un fine, occupano gli spazi ma rifiutano di essere "dentro" il sistema». Sfumature per le migliaia di impiegati e pensionati, mamme e nonni valsusini che nella protesta hanno ritrovato un momento di socializzazione e di discussione che la politica non offre più. Non per il direttorio, che per non farsi scippare la protesta ha imposto norme rigidissime ai dimostranti. Non basta alla prefettura di Torino che ha creato una zona rossa di un chilometro intorno alla Maddalena: da mezzanotte a lunedì saranno chiuse le vie di accesso da Giaglione e Chiomonte e sarà vietato circolare nei boschi. È stato ordinato anche di liberare l’area da legna e pietrame, ma si dovrebbero smontare i muri a secco che dividono campi e vigne.

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