Prima ancora delle convenzioni internazionali sull’intervento umanitario e la navigazione, è l’antica tradizione marinara a imporre ai natanti il soccorso quando incrociano un’imbarcazione in difficoltà. Ma sull’etica del mare oggi prevale la politica. E la paura che incutono ai governi le centinaia di migliaia, forse i milioni di potenziali richiedenti asilo che fuggono dal Corno d’Africa come dal Sahel e, dalle coste nordafricane, premono per entrare in Europa. Ma l’Ue, che pure uniforma verso l’alto il diritto d’asilo a colpi di direttive, ritiene più scomodi i profughi dei migranti economici. E così cerca di scoraggiare in ogni modo il loro arrivo. «Infatti, secondo me, la regola del soccorso in mare non viene messa in discussione nella vicenda raccontata dai cinque eritrei superstiti ritrovati al largo di Lampedusa. Semmai, da questa storia emerge il vero problema che attraversa l’Europa. Un problema politico, nessuno vuole più accogliere chi ha diritto di chiedere asilo». Il professor Ennio Codini insegna diritto pubblico alla Cattolica, a Milano, ed è inoltre responsabile giuridico della Fondazione Ismu, promossa dalla Fondazione Cariplo, che si occupa di immigrazione e multiculturalità. Proviamo a capire con lui quali obblighi aveva chi ha incrociato questo barcone alla deriva nelle tre settimane in cui ha percorso il Mediterraneo dalla Libia alla disperata ricerca della salvezza sulle coste italiane. «Quanto sappiamo lo abbiamo appreso dalla testimonianza di una persona salvata in mare. Quindi andranno compiute necessarie verifiche. Per quanto riguarda i pescherecci e le imbarcazioni private, sussistono obblighi di intervento solo in caso di avvistamento di naufraghi in acqua. Insomma, le imbarcazioni dovevano capire che il gommone con a bordo gli eritrei stava andando alla deriva. Ma non è detto che tutti abbiano capito in che condizioni versava. Diverso il caso per chi ha portato cibo ai superstiti. Hanno salvato loro la vita, ma, una volta resisi conto che il canotto non era più governato, avevano il dovere di avvisare la guardia costiera». Ieri si è parlato delle responsabilità delle autorità maltesi, che hanno giustificato il mancato intervento dicendo che avrebbero avvistato il canotto, ma i cinque a bordo erano in buone condizioni di salute. «Se è vero, i maltesi dovevano recuperarlo e mettere in salvo i naufraghi. L’accordo con l’Italia è preciso. E se chi è in pericolo si trova in acque internazionali, si segnala la sua presenza all’autorità più vicina. Finora la cooperazione tra Italia e Malta andava migliorando. Ma in generale il problema non sta nella tradizione di questa o quella marineria. Sono convinto che le marine militari dei paesi europei affacciati sul Mediterraneo non abbiano cambiato gli usi. Il problema è l’accoglienza degli Stati. I quali scoraggiano l’ingresso nei porti dei potenziali richiedenti asilo in fuga da Eritrea, Somalia, Ciad, Niger o Nigeria. Lo fanno gli italiani, i maltesi, i greci, gli spagnoli e i francesi. Perché i richiedenti asilo sono, almeno sul breve termine, più costosi dei migranti economici e non portano consensi politici. E le statistiche dimostrano che i potenziali rifugiati scelgono le rotte mediterranee e negli ultimi anni sono in aumento». Però l’Ue ufficialmente si è dotata di recente di una normativa comune e ha innalzato gli standard di accoglienza per rifugiati. «Lo scopo è evitare disparità tra membri. Se, ad esempio, la legislazione italiana è peggiore di quella tedesca, i rifugiati andranno tutti in Germania. Peccato che non si tenga conto della posizione geografica. Oggi abbiamo norme comuni, ma i paesi rivieraschi sono più esposti». Codini non è ottimista sull’accordo tra Italia e Libia. «È appurato nella comunità giuridica che in sé l’accordo viola le convenzioni umanitarie. Si può respingere, ma i potenziali rifugiati non possono venire respinti da uno Stato, come l’Italia, aderente alla Convenzione di Ginevra, verso uno che non l’ha ratificata. La soluzione per non infrangere la legge internazionale umanitaria poteva essere la creazione in Libia di postazioni gestite dal governo e dall’ufficio Onu per accertare identità e valutare le richieste dei rifugiati. In concreto finora non si è fatto nulla. Del resto non si può imporre lo stato di diritto dove questo non c’è». E l’Europa, che pare spettatore indifferente delle tragedie del Mediterraneo, cosa può fare? «Promuovere la mobilità dei rifugiati tra stati membri. Badi bene, non può costringerli a cambiare Paese forzatamente. In questo senso si potrebbero stringere accordi tra paesi continentali e rivieraschi. Ma nessun governo ha la forza politica per far digerire all’opinione pubblica l’arrivo di quote supplementari di profughi». Che ora sono diventati nel mondo civile cittadini di terza serie.