La baraccopoli di Stornata (FG) dove sono morti due fratellini di 2 e 4 anni nell'incendio della loro baracca - ANSA
«Quando una bottiglia di passata costa meno di un euro, possiamo essere certi che quei pomodori sono stati raccolti in queste campagne da braccianti trattati come schiavi». Antonio Ciniero, docente di sociologia delle migrazioni all’Università del Salento, conosce bene i ghetti in cui hanno perso la vita i due bambini rom bulgari. E quali sono le dinamiche economiche imposte dalle catene dei supermercati, che provocano lo sfruttamento brutale dei braccianti stranieri.
A Borgo Mezzanone nel 2009 nasce il "Ghetto dei bulgari", rom della città di Sliven. All’inizio arrivano con una catena migratoria basata sul passaparola, poi con arrivi organizzati da bulgari in contatto con il caporalato. I pullman passano in Grecia e sbarcano a Bari e Brindisi. Parte si ferma nel foggiano, il resto va a Mondragone nel casertano, dove si accampano nei "palazzi Cirio" ghetti verticali fatiscenti. Famiglie che stanno da giugno a settembre per il pomodoro, poi tornano per riportare i figli a scuola e passare l’inverno coi soldi guadagnati. Chi non guadagna abbastanza resta per la raccolta di finocchi e altri ortaggi. D’inverno nelle baracche ci sono i più poveri tra i poveri.
Come mai questi incendi continui?
Anche a Stornara le baracche sono di legno, impermeabilizzate coi teli di plastica antigrandine delle vigne. Bombe incendiarie. Sono ghetti ignorati dalle istituzioni che se ne accorgono solo quando, regolarmente, si verificano queste tragedie. Gli unici interventi istituzionali sono stati gli sgomberi. Nel 2018 è stato eliminato il Ghetto dei bulgari, a Borgo Mezzanone, ma ai quasi mille risiedenti non è stata offerta nessuna alternativa. E si sono riformati micro-insediamenti in baracche o casolari abbandonati. Il sindaco di Stornara ha detto: «Abbiamo perso due bambini della nostra comunità». Ma se ne sono accorti solo adesso.
L’intermediazione riguarda ogni aspetto della vita dei braccianti. All’arriva in Italia vengono portati con furgoni nelle baraccopoli che devono risistemarsi. L’affitto mensile è di 60 euro, decurtato dalle paghe. Sono pagati a cottimo: mentre gli africani guadagnano 3 o 4 euro a cassone di pomodori da 300 chili, e ne riempiono una decina a giornata, i rom bulgari prendono meno di 2 euro a cassone, perché arrivano con le famiglie e facendo lavorare anche la moglie e i ragazzi, riescono a mettere insieme qualcosa, mentre gli africani sono uomini soli. I caporale prende 5 euro per il trasporto dalla baraccopoli, 3 euro per il panino e l’acqua, 2 euro per un’altra bottiglia. E nei ghetti isolati devono comprare il cibo dai caporali o da loro intermediari che pagano un pizzo. I prezzi di cibo e medicinali sono quadruplicati. Il lavoro che fanno è usurante e spesso abusano di antidolorifici. Ho visto vendere una bustina di Oki per 5 euro.
La Relazione annuale della Direzione Antimafia già nel 2017 segnalava segnali di cooperazione tra soggetti bulgari e sodalizi criminali italiani.
Nella provincia di Foggia è coltivato il 40% di tutto il pomodoro italiano. Siamo secondi solo agli Stati Uniti. Il ruolo della Grande distribuzione organizzata è centrale in questo sfruttamento, perché schiaccia anche le aziende, comprando il prodotto prima del raccolto e imponendo il prezzo. I produttori quindi possono tagliare solo sul "capitale variabile", cioè la forza lavoro. Che in questo caso rasenta il lavoro schiavile.