Matteo Renzi con il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman - Ansa
La decisione di fermare la vendita di armi italiane all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti incendia ancor di più la polemica, già calda, sul viaggio di Matteo Renzi per una conferenza nel Paese del Golfo. E infiamma anche le consultazioni in corso, rischiando di bruciare le pur timide aperture della ex maggioranza a un dialogo con Italia viva. Passo fondamentale per la nascita di Conte ter. Renzi promette che spiegherà tutto in u- na conferenza stampa dopo la soluzione della crisi e bolla le polemiche come «diversivi » in un momento in cui l’Italia si gioca il futuro. Tra gli ex alleati è in particolare M5s a mostrare diversi atteggiamenti. Da un lato, infatti, esulta per un risultato, quello sugli armamenti, a lungo inseguito, e polemizza in modo veemente con i renziani. Dall’altro, però, lancia inviti alla calma.
Arrivano proprio dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio: «Non è questo il momento delle polemiche, è inaccettabile incendiare il clima in queste ore», scrive in un nota. Questo dopo aver definito su Facebook l’atto di revoca da lui stesso compiuto «doveroso» per il rispetto dei diritti umani e un «messaggio di pace». Nel Movimento c’è poi chi si premura di far trapelare irritazione per l’interrogazione presentata dal pentastellato Pino Cabras, vicepresidente della Commissione Esteri alla Camera, sulle consulenze di Renzi con Riad (anticipate da Il Domani). Fonti di primo piano del M5S la bollano come una «sciocchezza » dettata dalla ricerca di «un quarto d’ora di notorietà». Cabras replica sottolineando che «i 'mai più con Renzi'» del movimento «durano comunque meno dei miei 15 minuti di notorietà».
Intanto i renziani incrociavano le lame con i pentastallati. Terreno di scontro la Farnesina. Non tanto per la decisione in sé. Quanto sulle attribuzioni di responsabilità nella vicenda a Renzi premier. Fonti del ministero hanno fatto sapere che i contratti di export per la fornitura di armamenti risalirebbero a prima del 2014 (e dunque prima anche dell’autorizzazione data dall’esecutivo Renzi nel 2016). Quindi sarebbe «tecnicamente sbagliato attribuirli a un singolo o a una singola forza politica». «Peraltro – aggiungono le stesse fonti – se si considerano i 3 anni precedenti la guerra in Yemen e i 3 anni successivi, il valore complessivo di armamenti venduti a Riad non è aumentato, anzi è diminuito». Sulle attribuzioni di responsabilità, sulla vendita e sullo stop alla stessa hanno duellato via social il sottosegretario Manlio Di Stefano e l’ex collega al ministero Ivan Scalfarotto. Per il primo è stata bloccata «una vergognosa eredità» lasciata da Renzi.
«Un percorso chiuso da un settimana – prosegue – che si conclude formalmente oggi (ieri per chi legge ndr) con una temporalità che fa riflettere sul problema enorme ancora irrisolto del conflitto d’interessi dei nostri politici». L’esponente di Iv replica sostenendo che lo stesso Di Stefano chiese in aula nel 2019 (quando c’era il Conte 1) di votare l’embargo solo su bombe di aereo e missili e no per altre tipologie di armi. «Con la nostra maggioranza, il mese scorso, si è riparato a questo grave errore», rivendica. Di Stefano non ci sta e tiene a rivendicare l’intera 'filiera' del provvedimento al M5s: «Risoluzione di revoca a prima firma Yana Chiara Ehm, iter gestito da me come delegato e Di Maio come ministro, approvazione finale di Conte. O vivi di manie di protagonismo come il tuo leader o sei molto confuso».
La decisione viene salutata come «giusta e saggia» e come «contributo concreto a fermare la guerra civile in Yemen» anche dal presidente della Commissione esteri di Montecitorio, il dem Piero Fassino, il quale ricorda come essa si accompagni alla decisione di sospendere le forniture di armi presa nei giorni dal neopresidente Usa Joe Biden.