«Ogni giorno penso a Nicholas cento volte e ancora con le lacrime agli occhi. Ma da 21 anni le mie lacrime non sono soltanto di dolore, ma anche di gioia per quei sette italiani a cui il mio Nicholas ha donato i suoi organi». Le parole di mr. Reginald Green sono dolci e solenni mentre inumidiscono gli occhi dei medici, dei chirurghi, degli infermieri, dei pazienti e di tutto il pubblico che ha partecipato ieri pomeriggio all’incontro
Donazione e trapianti. Energia per la vita, nell’Ospedale Niguarda di Milano. Un titolo che, in armonia con quello del vicino Expo, evoca un altro grande nutrimento, del corpo e dell’anima. Quella tragica morte sulla Salerno-Reggio Calabria, quando l'automobile dei Green diretti in Sicilia nel terzo viaggio in Italia del piccolo Nicholas (7 anni appena compiuti) venne scambiata per quella di un gioielliere e affiancata dall’auto di rapinatori che cominciarono a sparare all’impazzata, torna come un fantasma nelle parole del signor Reginald, ospite dell’ospedale capofila nei trapianti per testimoniare ancora una volta il valore assoluto di un atto estremo. E lo fa a pochi giorni dalla Giornata mondiale della donazione, il prossimo 31 maggio. «Quando gli chiedevo che cosa avrebbe voluto diventare da grande – ricorda mr. Green –, Nicholas mi rispondeva che voleva fare tutti i mestieri del mondo. Perché era innamorato della vita e l’Italia gli dava felicità». Sono sette le persone italiane che hanno continuato a vivere grazie agli organi di quell’angelo venuto dagli Stati Uniti. E in fondo Nicholas tutti i mestieri del mondo, come desiderava, li sta svolgendo attraverso quelle vite che ha salvato. Le parole di Reginald, che con la moglie Margareth ha dato vita a una fondazione (www.nicholasgreen.org), si alternano alle immagini di un toccante documentario in cui la gioia di un’intera famiglia si spezza all’improvviso. «Due giorni dopo quegli spari mortali – dice il signor Green –, i medici del Policlinico di Messina ci dissero che non c’era più niente da fare. Ed è stato in quel momento che abbiamo capito quanto diventava importante che la scelta che stavamo per compiere fosse stata presa prima, insieme a mia moglie, in un normale momento di serenità familiare. Fu Maggie, in quel momento di disperazione, a ricordarmi di quella promessa. Perché lì, davanti a un figlio perso per sempre, certe decisioni è difficile prenderle se non le hai già maturate prima. Quel giorno, vedendolo per l’ultima volta sul lettino dell’ospedale, avrei voluto donare anche le sue lentiggini». Quattro adolescenti e un adulto ritrovarono la vita con Nicholas, altri due pazienti riacquistarono la vista grazie al trapianto delle cornee. Tra i quattro giovani c’era un 15enne affetto da una complessa cardiopatia. Si chiama Andrea Mongiardo e in lui batte il cuore di Nicholas. Da lunedì in Cambogia per una delle sue tante missioni umanitarie, Stefano Marianeschi (responsabile della cardiochirurgia pediatrica di Niguarda) affida a un video il toccante ricordo, tra la vita e la morte, di quella drammatica notte del 2 ottobre 1994. «Ero al Bambin Gesù di Roma – dice rivolgendosi al signor Green –, giovane medico sotto la guida di Carlo Marcelletti, quando arrivò da Catania il cuore di Nicholas. Per Andrea i giorni erano ormai contati, ora ha 35 anni e continuo a seguirlo, grazie a voi e al vostro Nicholas. In Italia allora il trapianto cardiaco era molto raro. Ma voi ci avete dimostrato cosa vogliono dire umanità e coraggio, donando la vita di vostro figlio ad altre persone». L’effetto Nicholas rappresentò allora una vera e propria svolta culturale in un’Italia ancora poco sensibile al tema della donazione di organi. «Il trapianto è una questione che riguarda tutti noi – dice Maria Frigerio, direttore del dipartimento Cardiotoracovascolare di Niguarda, promotrice dell’incontro con Luciano De Carlis, direttore del Transplant Center dell’ospedale –. È una questione di pensiero e di solidarietà. È in questa direzione che la società deve investire, prima ancora che in risorse finanziarie». «Nicholas – conclude il signor Green – cambiò la cultura della donazione. Per noi genitori è stata la più buona azione nata nel momento più difficile della nostra vita».