venerdì 4 marzo 2022
Parla il presidente della Fondazione Migrantes: la decisione dell'Unione Europea ha guardato al precedente della Bosnia. Bene l’Italia, ora deve cambiare il regolamento di Dublino
L’arcivescovo Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes

L’arcivescovo Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes - Siciliani

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La guerra nel cuore d’Europa può diventare l’occasione per passare dai muri all’accoglienza archiviando una volta per tutte il regolamento di Dublino, causa di divisioni e sofferenze. La prova è l’importante decisione presa ieri dai ministri degli Interni della Ue di sottoscrivere e applicare la direttiva di protezione temporanea ai profughi ucraini. Per l’arcivescovo Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, l’Italia sta già facendo la sua parte anche in questa nuova emergenza che può portare più di mezzo milione di profughi. «Abbiamo un buon sistema di accoglienza diffusa – commenta –, aveva subito una battuta di arresto, ma ora si è ripreso e si sta strutturando a partire dai Comuni e dalle associazioni. Anche in questa occasione il primo segnale, anche se debole, è stato l’aumento di 8mila posti in accoglienza per le famiglie ucraine aggiungendone 5mila già destinati agli afghani».


«Siriani, afghani, sudanesi, eritrei vivono lo stesso dramma degli ucraini. Meritano la stessa attenzione»

Come valuta la decisione Ue sul titolo di soggiorno dei profughi ucraini?
Positivamente, perché copre per un anno non solo i richiedenti asilo ucraini, ma anche migranti e rifugiati provenienti da Paesi terzi e residenti in Ucraina. Questo fa ben sperare anche per altre situazioni. Credo che sia stato un primo passo importante che ha guardato al precedente della Bosnia e del Kosovo. Poi deve seguire la collaborazione sui territori. Attualmente sono arrivate circa 6.600 persone secondo i dati del Viminale ma, poiché il meccanismo di redistribuzione assegna il 13% all’Italia, potrebbero arrivarne 500mila se in tutta l’Unione entrano 5 milioni di profughi ucraini come prevede l’Ue, o il doppio se i profughi saranno 10 milioni, come prevede l’Onu. Occorre dunque sforzarsi per una redistribuzione diffusa.

Quanti sono gli ucraini residenti in Italia?
Sono circa 250mila (in tutta l’Ue sono 800mila, ndr) e più di tre quarti sono donne. Vorrei sottolineare il ruolo delle 150 comunità cattoliche ucraine in Italia con i loro 60 preti: è stato importante per la solidarietà e la preghiera, come quella del 2 marzo con il Papa. Sono state le prime a mobilitarsi a Ferrara, Genova, Firenze, Palermo, Padova, Trieste e Gorizia. Il ricongiungimento familiare dei profughi diventerà un elemento importante per l’accoglienza. Vediamo che il flusso è per lo più composto da donne e bambini. Significa che l’attenzione alla tutela dei minori fuggiti da una guerra e un adeguato accompagnamento psicologico sono aspetti da mettere in campo.

Si può chiudere la stagione dei veti e dei blocchi all’accoglienza tra territori e Stati iniziata nel 2015?
Certamente. Si spera che l’accoglienza che inizia nei Paesi dell’Est Europa, nel cosiddetto gruppo di Visegrad, sia un primo avviso dell’auspicata redistribuzione dell’accoglienza dei richiedenti asilo, e quindi della tanto attesa modifica del regolamento di Dublino che lascia i profughi nel Paese europeo di primo arrivo.

La storia ha accelerato. L’Ue che fino a 15 giorni fa discuteva sui muri per difendersi dall’arrivo di profughi extraeuropei può ora riscrivere la politica migratoria?
Il tema della solidarietà torna a essere elemento qualificante in Europa di fronte a questi come a tutti gli altri richiedenti asilo in arrivo. Ribadisco che l’apertura dei Paesi di Visegrad può essere di buon auspicio per la revisione della politica di asilo nei 27 Stati membri che aveva subito diverse battute di arresto. Ma anche una opportunità per rivedere l’atteggiamento verso altri fronti da cui arrivano i richiedenti asilo, nel nostro caso il Mediterraneo. È un tema discusso nell’incontro dei sindaci e dei vescovi del Mare nostrum a Firenze nei giorni scorsi. Questa guerra ci fa capire quanto è importante che ogni Paese europeo sia Paese di accoglienza, e al tempo stesso che tutta l’Ue sia impegnata nel superamento del regolamento di Dublino.

Qualcuno ha fatto notare che i posti per i profughi europei ci sono, mentre quelli non europei in Libia, sulla rotta balcanica e in Bielorussia sono discriminati. Cosa ne pensa?
È comprensibile che ci sia stata un’accoglienza significativa verso gli ucraini, perché in Italia sono una delle prime nazionalità presenti. Siamo il primo Paese europeo scelto da chi emigra dall’Ucraina. E poi le persone che vivono il dramma di questa guerra spesso lavorano nelle nostre case, con le nostre famiglie. Le conosciamo. Quindi questa guerra ci fa capire che forse abbiamo bisogno di incontrare e conoscere le storie dei richiedenti asilo e rifugiati di altri Paesi per essere solidali con loro come lo siamo con gli ucraini.

Che ruolo può avere l’informazione?
Abbiamo visto come questa guerra che ci riguarda da vicino sia stata coperta da tutti i media in diretta, mentre altre vengono dimenticate. Anche l’informazione aiuta a togliere la distinzione sbagliata tra richiedenti asilo e rifugiati di serie A e di serie B. In questo momento ci sono 6.600 profughi arrivati ufficialmente dall’Ucraina in Italia e 5.500 sbarcati dalle coste nordafricane e turche nel 2022. Sono siriani, afghani, sudanesi, eritrei, persone che vivono lo stesso dramma e la stessa difficoltà di trovare accoglienza e solidarietà degli ucraini. Quindi meritano la stessa attenzione e solidarietà e le stesse politiche per la tutela del diritto fondamentale di asilo.

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