La «settimana decisiva» è arrivata. Forse non servirà a formulare un’ipotesi precisa di governo, ma servirà a scartare dal mazzo le carte meno utili al gioco. Soprattutto, servirà a testare l’effettiva solidità dell’intesa tra Salvini e Di Maio. L’incontro tra i due è imminente. Il nodo è la premiership.
Ecco le sei ipotesi in campo
1. PATTO ORGANICO CENTRODESTRA-5S
L’intesa di legislatura con un premier terzo
Il primo giro di consultazioni del Colle servirà a fare il punto sulla prima ipotesi in campo: un governo tra il centrodestra unito e M5s, sulla falsariga dell’intesa che ha portato ad eleggere i due presidenti delle Camere. È in corso anche un lavoro di confronto tra i programmi per giungere a dei punti condivisi tra i due poli più votati il 4 marzo. Due gli ostacoli fondamentali: chi va a Palazzo Chigi e il "riconoscimento" che M5s dovrebbe dare a Berlusconi. Al momento, il leader M5s Di Maio ritiene che tocchi a lui e solo a lui andare a Palazzo Chigi. Allo stesso tempo, il Movimento fondato da Beppe Grillo interloquisce solo con Salvini e con il gruppo parlamentare di Forza Italia, mentre si rifiuta di stabilire un contatto politico con l’ex Cavaliere. Il segretario della Lega lavora invece perché si arrivi a un premier "terzo" (un politico della sua area come Giorgetti) e si lavori su una serie di punti di rottura: giù le tasse, atteggiamente aggressivo con l’Ue, superamento della legge Fornero, mano dura sull’immigrazione, politica estera più "russofona". M5s porterebbe in dote a questo esecutivo la propria agenda sui vitalizi e i costi della politica e una versione "sostenibile" del reddito di cittadinanza. Punti di convergenza sono stati riscontrati da centrodestra e M5s anche su imprese e famiglia. I gruppi parlamentari Fi, Lega e M5s in questa fase sembrano lavorare in sinergia anche sul prossimo Documento di economia e finanza.
2. ACCORDO A DUE MA A BREVE TERMINE
Intesa Salvini-Di Maio solo per tornare al voto
Di fronte a una situazione di stallo, in cui i veti reciproci e gli "Aventini" bloccano ogni strada, Salvini e Di Maio potrebbero dare un indirizzo diverso alla loro intesa generazionale oltre che politica. Ovvero, non lasciar andare con il pilota automatico la transizione verso un nuovo voto ma guidarla in prima persona stabilendo i tempi, i modi e, soprattutto, le regole per un eventuale ritorno alle urne. Un governo di scopo Lega-M5s autosufficiente nei numeri - sebbene con margini ristretti - e abbastanza compatto per condividere alcuni obiettivi economici ed istituzionali. I due leader potrebbero condividere ad esempio una serie di misure ad alto impatto elettorale che li aiuterebbe a raggiungere i propri obiettivi politici: Salvini, infatti, vuole far suo l’intero elettorato di centrodestra, Di Maio vuole invece continuare a svuotare i consensi del Pd e del centrosinistra. Lega e M5s sono anche gli unici due partiti che hanno qualche motivo per inserire nell’attuale legge elettorale un premio di maggioranza che renderebbe più chiaro il risultato del voto. Questa ipotesi di governo "verde-oro", al momento, rappresenta più una "minaccia" agli altri partiti che una possibilità concreta. È una minaccia che la Lega fa a Forza Italia, nel momento in cui storcesse troppo il naso dinanzi agli abboccamenti con M5s. È una minaccia del Movimento di Di Maio al Pd, per costringere i dem a uscire dalla linea dell’opposizione e ad aprire un dialogo. Una legge più maggioritaria, inoltre, finirebbe con l’esasperare la dinamica del "voto utile" a vantaggio, probabilmente, dei due partiti che ora sono in luna di miele con il Paese. Per l’appunto, M5s e Lega. Mentre Fi e Pd si avvicenderebbero in un fronte unico europeista.
3. GOVERNO DEL PRESIDENTE COINVOLGENDO TUTTI (O QUASI)
La carta finale del Colle in caso di stallo. Con impegni su manovra e legge elettorale
Fermo restando che il Quirinale ha intenzione di concedere diverse settimane alle forze politiche per comporre il puzzle del governo, non è da escludere che alla fine tocchi proprio al Colle indicare una possibile via d’uscita. Tra un mese o due, esauriti tutti i tentativi, i partiti potrebbero ripresentarsi da Mattarella con le mani vuote e la disponibilità a un percorso condiviso guidato dal presidente della Repubblica. È l’ipotesi del "governo di tutti", con un’agenda molto chiara e limitata che tocca la prossima manovra economica e la necessità di varare una legge elettorale condivisa. Quando si traccia questo scenario, saltano alla mente nomi di tecnici come Carlo Cottarelli, economista riconosciuto dai tre poli, rassicurante per l’Europa e per i mercati, conoscitore come pochi della mastodontica spesa pubblica nazionale. Il profilo giusto per stendere una legge di bilancio indolore, che non tocchi la carne viva del Paese, non preoccupi l’Ue sul deficit e riesca comunque ad evitare che scatti la clausola che porta all’aumento dell’Iva. L’altra definizione che circola è quella del "governo utile". Utile nel senso che l’impasse politica non pregiudica il percorso italiano su conti pubblici e sostegno alla crescita. È l’unico scenario al quale parteciperebbe anche il Pd.
4. IL PD SCENDE DALL'AVENTINO E CONDIZIONA LA PREMIERSHIP
Esecutivo politico con centrodestra o M5s. Ma con passi indietro dei giovani leader
In parallelo all’iter che porterà alla formazione di un governo, scorrerà il percorso interno del Partito democratico. I dem entro la fine di aprile dovrebbero celebrare l’Assemblea nazionale che dovrà scegliere tra l’elezione diretta del nuovo segretario o l’indizione delle primarie. Lungo questo tempo, il Pd vivrà una fase di forte tensione tra chi difende la linea dell’opposizione (l’ala di Matteo Renzi) e chi invece considera l’ipotesi di aprire un dialogo con M5s (le minoranza di Orlando ed Emiliano e l’area di Franceschini). Tutto è possibile, sotto il cielo democratico. Una nuova scissione interna o un’inversione dei rapporti di forza tra Renzi e gli altri leader, con la componente "governista" che prevale. È una dinamica che potrebbe incidere, in astratto, sulla nascita di un esecutivo diverso dall’intesa centrodestra-M5s. Potrebbe, ad esempio, aprire le porte a un governo M5s-Pd. O, al contrario, convincere Renzi che la salvaguardia del consenso di cui gode personalmente passi, per il momento, dal sostegno a un esecutivo di centrodestra. Con realismo, va però detto che è mutuo interesse delle due anime dem mantenere nelle prossime settimane le cose così come sono, coprendo i dissidi interni sotto la coperta dell’opposizione.
5. LA VIA "ESECUTIVO DI MINORANZA"
Salvini o Di Maio partono con desistenze
Il braccio di ferro tra Salvini e Di Maio su "chi" debba andare a Palazzo Chigi conferma l’esistenza di uno scenario che sembrava abbandonato, quello del governo di minoranza. Un’idea che aleggia soprattutto in area M5s. Quando il capo politico del Movimento dice che tocca a lui e solo a lui diventare premier, certifica che il suo partito non è ancora pronto a digerire accordi organici di maggioranza con altre forze politiche. Si possono cercare convergenze tematiche in Parlamento, ma condividere in toto l’azione di governo, in una logica di coalizione, è altra cosa. Un governo di minoranza in un Parlamento tripolare, tuttavia, può nascere solo con un gioco di desistenze. L’esecutivo di minoranza M5s, ad esempio, ha bisogno che almeno il Pd conceda l’astensione in un eventuale voto di fiducia. In astratto, la logica del governo di minoranza può interessare anche al centrodestra e a Salvini, ma anche in questo caso, numeri alla mano, serve che i dem rinuncino all’opposizione nuda e cruda e consentano all’esecutivo di partire. I governi di minoranza sembravano una formula istituzionale finita con la Prima Repubblica. Ma ora è obbligatorio riprenderla in considerazione alla luce della legge elettorale utilizzata il 4 marzo, il Rosatellum, e alla luce del voto degli italiani che in qualche modo attribuisce a ognuno dei tre poli (centrodestra, centrosinistra, M5s) il potere di agevolare o bloccare accordi di governo.
6. RITORNO AL VOTO ENTRO SEI MESI
Alle urne con il rischio di un nuovo pareggio
Allo stato nessuno può escludere che si torni al voto a breve. Considerando che l’Italia non ha tradizione di campagne elettorali estive, la prima finestra da prendere in considerazione sarebbe quella di settembre. Un’opzione che ha dei tratti di spregiudicatezza, per due motivi. Il primo è che a ottobre si deve varare la legge di bilancio per il 2019. Il secondo motivo è che l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, potrebbe restituire un risultato simile a quello registrato il 4 marzo. Certo, le forze parlamentari potrebbero impiegare i pochi mesi di legislatura per inserire nel Rosatellum un premio di maggioranza, ma non è facile in un clima di diffidenza reciproca tra le parti politiche. La Lega, ad esempio, non potrebbe dare il via libera ad un sistema di voto che danneggia Fi e Fdi, ancora decisivi per l’affermazione del centrodestra su scala nazionale. Insomma, ci sarebbero tutti gli elementi per parlare di "voto al buio". A essere sinceri, tuttavia, nessuno, né chi ha vinto né chi ha perso le elezioni, ha sinora parlato di voto anticipato. Lo ha evocato Salvini nel momento in cui si arenasse la strada dell’accordo tra centrodestra e M5s. Non vi ha accennato Di Maio, che anzi a più riprese ha promesso che M5s sarebbe stato «fattore di stabilità». Non vogliono assolutamente correre alle urne Fi, Pd e Leu, che temono una crisi di consenso. Sulla base di queste argomentazioni, è facile arrivare alla conclusione che alla fine, in un modo o nell’altro, con una formula o l’altra, un governo ci sarà. Di legislatura, politico, di scopo, utile... Ma ci sarà. Con tempi che però potrebbero essere più lunghi di quelli cui ci aveva abituato la Seconda Repubblica.