Le convergenze parallele di Silvio Berlusconi arrivano alle 21 di sera. Il governo Lega-M5s, è il mezzo via libera del leader di Forza Italia, «non segna la fine dell’alleanza di centro-destra: rimangono le tante collaborazioni nei governi regionali e locali, rimane una storia comune, rimane il comune impegno preso con gli elettori», rompe il silenzio l’ex Cav in una delle giornate più tormentate del suo quarto di secolo, ormai, di militanza politica. «Grazie Berlusconi, ora al lavoro su programma tempi e squadra», interviene a tarda sera Matteo Salvini. «Il Paese da mesi attende un governo», afferma Berlusconi. Continua a dire, senza crederci più, che «la soluzione della crisi più naturale sarebbe stata quella di un governo di centro destra», continua a ribadire, solo per metterlo a verbale. «Questa strada non è stata considerata praticabile dal Capo dello Stato. Ne prendo atto. Da parte nostra – aggiunge – non abbiamo posto e non poniamo veti a nessuno, ma non possiamo dare oggi il nostro consenso ad un governo che comprenda il M5s, che ha dimostrato anche in queste settimane di non avere la maturità politica per assumersi questa responsabilità», sottolinea l’ex premier.
Colpo di scena, ma ormai era nell’aria. Da Arcore aveva seguito in silenzio il tumultuoso evolvere degli eventi. «Non possono pretendere da me passi indietro, di lato o cose del genere. Se vogliono fare, facciano pure, questa volta ci divertiamo noi». Il sollievo, la sensazione di vedere la luce, è quello dei parlamentari azzurri, che vedono allontanarsi, nei loro auspici, la prospettiva di un periglioso ritorno alle urne. Paolo Russo, deputato di lungo corso di Marigliano, sintetizza così: «Non è il male minore, è la soluzione migliore. Come moderati, popolari europei si apre una prateria davanti a noi di fronte al governo dei populisti. Che senso avrebbe avuto entrare in un governo da terzi, e indesiderati? E che prospettiva avrebbe tornare al voto, con un asse "populista" che uscirebbe certamente rafforzato?».
Sono questi i ragionamenti fatti a mezza voce fra i deputati. Renato Brunetta li porta alla luce: «Se vogliono fare, facciano. Faremo come la Lega con il governo Monti, che è rimasta fuori ed è cresciuta». Ma anche l’ex capogruppo esclude ritorsioni: «L’alleanza rimane, è un grande valore», dice l’ex capogruppo, ipotizzando, a parti invertite uno schema sul tipo di quello che portò Forza Italia a sostenere - con tanti mal di pancia - prima Monti e poi Gianni Letta, con la Lega fuori.
Nella riunione del gruppo alla Camera, in mattinata, ci si era confrontati fra il partito dell’astensione e quello del voto contro, con ampia prevalenza di quest’ultimo. Nessuna stampella, chiedono i deputati, tanto più che, numeri alla mano, non ce n’è bisogno. Poi Maria Stella Gelmini, restando in attesa del pronunciamento di Berlusconi, aveva chiuso il breve dibattito dicendo no a «veti» o a «teatrini» come finirebbe per essere un voto di astensione. Altrettanto accadeva a Palazzo Madama. «Non accetteremo comunque discriminazioni o pregiudizi su di noi», aveva detto in serata la capogruppo Anna Maria Bernini. Forza Italia si tira fuori dalla trattativa, se deve entrarci da parente povero, o - peggio - indesiderato.
Un partito come la Lega che - nella gestione salviniana - è cresciuto usando sempre il linguaggio e le logiche dell’opposizione inizia a sentire aria di trappolone. Le partite Iva che votano centrodestra rischiano di rivoltarsi contro se gli proponi il voto a luglio o - peggio - se gli si prospetta un aumento dell’aliquota al 25 per cento. Ma la Lega vorrebbe in qualche modo una corresponsabilità nel trovare la "toppa" contro il voto anticipato. Il timore è di avere numeri troppo angusti in Parlamento, ma soprattutto quello di regalare un’autostrada all’alleato competitore di Forza Italia. Luigi Di Maio aveva detto che la sua è volontà di dialogare con la Lega, non un veto su Berlusconi. Parole leggermente più soft, anche se nella sostanza cambia poco. «Ora aspettiamo che Berlusconi dica parole chiare entro 24 ore», diceva Gian Marco Centinaio, dando una sorta di ultimatum al leader di Forza Italia.
Poi le parole di Berlusconi a chiudere il lungo travaglio. «Tu sei Berlusconi, non puoi accettare veti da un Di Maio qualsiasi», gli dicevano la figlia maggiore Marina, e l’amico di sempre Fedele Confalonieri. È combattuto Berlusconi, ma sa bene che i suoi parlamentari non ne vogliono sapere di essere tirati dentro in queste condizioni. La Lega però continua a premere perché accetti di dare una benevola astensione, accettando ministri graditi o "di area" a garanzia, ad esempio si fa il nome del generale dei carabinieri Leonardo Gallitelli che potrebbe andare alla Difesa molto apprezzato da Berlusconi. La cosa non è che attiri il leader di Forza Italia. In ogni caso, sostengono dalle parti dell’ex Cav, la storia dice che i voti di astensione nel giro di due mesi diventano voto contrario. Della serie, se non è zuppa...
«Nessuno può chiedere al presidente Berlusconi un passo indietro», dice uno dei fedelissimi di antica data come Sestino Giacomoni. «Il M5s riconosca formalmente e in modo diretto l’esistenza e il ruolo di Forza Italia», aveva chiesto il portavoce dei parlamentari azzurri Giorgio Mulè. L’ex capogruppo Paolo Romani parla però del governo M5s Lega come di una «possibilità da sperimentare». E Giovanni Toti, grande mediatore con Salvini teorizza la «benevolenza critica» di Forza Italia per un nascente governo Lega-M5s. È la strada che si prospetta, le "convergenze parallele" del terzo millennio.