Un Consiglio dei ministri - Ansa / Palazzo Chighi
Politicamente parlando, fra il ritardo iniziale e la sospensione in corso d’opera del Consiglio dei ministri, il parto è stato travagliato. E ci sono volute tutta l’arte maieutica e mediatoria del premier Mario Draghi e la sapienza giuridica della Guardasigilli Marta Cartabia per sciogliere il nodo delle modifiche alla prescrizione con una formula ritenuta accettabile da M5s. E così, la lunga trattativa in seno alla maggioranza si è in qualche modo chiusa, consentendo al Cdm di licenziare il pacchetto di modifiche in materia penale da proporre al Parlamento a fine luglio. Poco dopo le 20 è stato lo stesso premier a chiedere ai ministri e alle forze politiche di riferimento: volete sostenere convintamente il testo della riforma del processo penale ed essere leali in Parlamento? Nessuno ha avanzato obiezioni. E così, la proposta Cartabia è passata senza un voto formale, ma col sostegno unanime al testo – sotto forma di "silenzio assenso" – chiesto dal presidente del Consiglio. Un primo step della complessiva riforma della giustizia, che riguarderà anche il settore civile e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, necessaria per il Paese e cruciale nella trattativa con l’Unione europea sul Pnrr e sui fondi per la ripresa.
Minaccia di astensione 5s, poi sostegno
La giornata è iniziata con una lunga riunione fra i big Cinque stelle: quattro ore di confronto acceso. Poi l’avvio del Consiglio, previsto alle 17, è slittato di due ore per via dei malumori dei ministri pentastellati che hanno minacciato di astenersi in un eventuale voto perché contrari alle ipotesi di modifiche all’istituto della prescrizione "lunga" (voluto da Alfonso Bonafede). Per sminare il terreno, Draghi ha trattato sui ritocchi, favorendo l’accordo. Su richiesta dei 5s, le maglie del "lodo Cartabia" (il decorso della prescrizione del reato si interrompe con la sentenza di primo grado, ma poi scatta l’improcedibilità, se non si completa l’Appello in due anni e la Cassazione in uno, e il processo si estingue) sono state allargate inserendo i reati contro la P.a. (come corruzione e la concussione) fra quelli che prevedono tempi processuali più lunghi (tre anni per l’appello, 18 mesi per la Cassazione).
A quel punto, il Cdm è iniziato. Ma la soluzione ipotizzata a quel punto non ha convinto Forza Italia (col ministro Renato Brunetta irritato per le modifiche in corsa) e Italia Viva, che a loro volta hanno chiesto una sospensione del Cdm. Altrettanto duri i 5 Stelle: «Non arretriamo di un centimetro». I ministri del Carroccio – sostengono fonti leghiste – provano a mediare e riferiscono di aver evitato che nel testo venga tolta la pena detentiva (grazie ai riti alternativi) per reati gravi come associazione per delinquere e corruzione. Iv invece minimizza le modifiche fatte per accontentare i pentastellati, perché non cambiano la sostanza. Alla fine a richiamare tutti all’ordine è il premier: «Mi appello al vostro senso di responsabilità – avrebbe detto, secondo quanto riporta l’Adnkronos –. Sono riforme legate al Pnrr, fondamentali per il Paese, e voglio una maggioranza compatta». E la ministra Cartabia, illustrando gli emendamenti, avrebbe precisato: «Lo sforzo della riforma è stato dare un’immagine del processo penale in cui tutti potessero riconoscersi».
La partita si sposta in Parlamento.
Il testo del governo approderà alla Camera il 23 luglio. E potrebbe, sostengono i renziani, essere limato con emendamenti chirurgici. Nel Pd, c’è una moderata soddisfazione, dato che la riforma della giustizia è essenziale per ottenere i fondi del Recovery plan e per la credibilità dell’Italia (non a caso, in giornata è il commissario europeo Paolo Gentiloni, di provenienza dem, ad auspicare passi avanti nel settore). L’auspicio di Draghi e della ministra Cartabia è che le forze politiche (M5s in testa) rispettino l’impegno preso nel Cdm di ieri e non provino a stravolgere l’impianto del testo.
I tempi della prescrizione
Due anni per l’appello e uno in Cassazione
Proroghe per reati gravi e casi complessi
Sul piano tecnico, gli emendamenti apportano modifiche al disegno di legge A.C. 2434 (Bonafede), a partire dai lavori della commissione ministeriale Lattanzi e dalle interlocuzioni con le forze politiche di maggioranza. Si tratta per la maggior parte di emendamenti a un disegno di legge delega, da attuarsi nel termine di un anno (in linea con gli impegni per il Pnrr). Rispetto al nodo politico principale, la durata della prescrizione, il testo mantiene l’impianto della legge n.3/2019 (riforma Bonafede). ossia lo stop della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Ma bilancia prevedendo tempi certi per i processi d’appello (2 anni) e Cassazione (1 anno), con la possibilità – decisa nella mediazione di ieri – di una proroga ulteriore (12 mesi in Appello, fino quindi a complessivi 3 anni; 6 in Cassazione, fino a complessivi 18) per reati gravi e processi complessi. In caso di mancato rispetto dei termini, scatta l’improcedibilità. Dalla tempistica sono esclusi i reati imprescrittibili, puniti con l’ergastolo.
Le indagini dei pm
Il gip vigilerà sulla durata delle inchieste
Le Procure fisseranno «priorità» di azione
Recentemente, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per l’irragionevole durata delle indagini preliminari (Petrella vs. Italia, 18 marzo 2021). Così, in caso di stasi del fascicolo, si prevede un intervento del gip, che induca il pm a prendere le sue decisioni. Alla scadenza del termine di durata massima, fatte salve le esigenze specifiche di tutelare il segreto investigativo, si conferma il meccanismo di discovery degli atti previsto nel ddl Bonafede. La misura dovrebbe servire a garanzia dell’indagato, per non farlo restare sotto indagine troppo a lungo, ma anche a garanzia per la vittima del reato, perché servirebbe a dare un impulso a un fascicolo fermo, anche per evitare la prescrizione. Inoltre, il testo Cartabia prevede che gli uffici del pm, per garantire un efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, «nell’ambito di criteri generali indicati con legge dal Parlamento» individuino «priorità trasparenti e predeterminate» da indicare nei progetti organizzativi delle Procure da sottoporre al Csm.
Le altre possibilità
Il maggior peso dato alle pene alternative
come semilibertà e lavori socialmente utili
Un altro capitolo del testo del governo consiste in un’ampia apertura alle sanzioni alternative, sulla base del rapporto elaborato dalla commissione ministeriale di giuristi presieduta dal presidente emerito della Corte costituzionale, Giorgio Lattanzi. Oggi, chi riporta una condanna entro i 4 anni di pena detentiva può chiedere una misura alternativa alla detenzione. Ma in attesa del giudizio del magistrato di sorveglianza, il condannato non va in carcere e non inizia a scontare la pena alternativa. È la condizione dei cosiddetti "liberi sospesi". Per evitare quel limbo, si trasformano alcune misure alternative, attualmente di competenza del Tribunale di Sorveglianza, in «sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi»: semilibertà, detenzione domiciliare, lavori di pubblica utilità e pene pecuniarie. Tutte «pene non sospendibili». Per evitare di celebrare processi per fatti bagatellari (come nel caso del furto di una melanzana da un campo, che ha occupato anche la Cassazione), si estende l’applicabilità della causa di non punibilità.
La «giustizia riparativa»
Spazio a programmi per la riconciliazione
fra l’autore del crimine e chi l’ha subito
Si delega il governo a disciplinare in modo organico la giustizia riparativa, nel rispetto di una direttiva europea del 2012, nell’interesse sia della vittima che dell’autore del reato. Il percorso di riconciliazione tra vittima e reo – al quale si può aderire sempre su base volontaria – viene valorizzato nelle diverse fasi del processo e dell’esecuzione della pena. La riforma propone l’accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni fase del procedimento (col consenso libero e informato della vittima e dell’autore e della positiva valutazione del giudice). E contempla inoltre la ritrattabilità del consenso, la confidenzialità delle dichiarazioni rese nel corso del programma di giustizia riparativa e la loro inutilizzabilità nel procedimento penale. Un fallimento del programma non produce comunque effetti negativi per autore e vittima. Il progetto include la formazione di mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa, accreditati presso il Ministero della Giustizia.