I magistrati? Alcuni di loro sono «una banda di talebani». E Tangentopoli? «È un capitolo chiuso che rimane nel passato», assicura il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lanciando nuovi attacchi alle toghe da Torino, dove, al Lingotto, presenta la candidatura del leghista Roberto Cota alla guida della regione. L’intervento, insieme alla decisione di non presentarsi oggi alla ripresa del processo milanese per corruzione (il gemello di quello che vedeva imputato l’avvocato inglese David Mills, chiusosi giovedì con la prescrizione), provoca le ire dell’opposizione, in particolare dell’Italia dei valori. Comunque il premier non ha dubbi: oggi i casi di persone «non corrette» sono ridotti «al minimo». Ora «abbiamo gente nuova che fa politica per gli ideali, per passione, per essere utile al Paese». Nel rally pre-elettorale la questione giustizia domina. Non solo per la battuta che il cavaliere si concede quando ricorda che Cota «ha un solo difetto, ha una moglie magistrato... Ma è una di quei magistrati perbene e spero aumentino sempre di più». Non come quelli sui quali si pronuncia poco dopo, quando arringa la folla con un crescendo sulla riforma della giustizia. «La facciamo, la facciamo, adesso la facciamo. Non credo che piacerà molto ai talebani che sono all’interno della magistratura». Il riferimento fa capolino più volte nel discorso. E che le toghe ultras talebani esistano «ed intervengano con propositi eversivi nella vita democratica è una realtà incontrovertibile», ribadisce. E poi rincara: «Si dice la corruzione, le organizzazioni criminali... secondo me questa è la patologia più grave della nostra democrazia». Berlusconi torna, poi, a gridare: «Basta alle intercettazioni, le modificheremo» perché «così è uno Stato di Polizia». E si finisce per «distruggere vite». In particolare il premier ce l’ha con la trascrizione su carta, ma anche con la modalità di recitazione televisiva da parte di attori, tipo docu-drama, sperimentata in molte trasmissioni, non ultima Annozero di Michele Santoro. Così le conversazioni captate «rischiano di assumere un significato tutt’affatto diverso da quello originale». Non si tratta, precisa, di vietare questo strumento per combattere i «grandi reati», piuttosto «diciamo che ci devono essere delle prove serie che siano stati commessi dei reati» e poi che le telefonate «non possano essere gettate in pasto al pubblico». Sul caso Mills, infine, il premier torna a ribadire che si tratta di «un’invenzione pura» e che si attende «assoluzione piena come è logico che sia». Intanto oggi, invocando ragioni tecniche, non sarà alla ripresa del processo milanese.Parole che suonano come una provocazione alle orecchie degli oppositori. Leoluca Orlando, portavoce dell’Idv, parla di attacco «gravissimo e senza precedenti» e invoca l’intervento del presidente della Repubblica, in qualità di numero uno del Csm. «Per coerenza – aggiunge Andrea Orlando, presidente del Forum Giustizia del Pd – adesso rinunci al legittimo impedimento e al processo breve e si renda disponibile, non allungando i tempi in cerca di prescrizione». «Deliri» rincara Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato. Al controcanto si aggiunge anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, nel corso della cena di finanziamento di Farefuturo: «Non credo che siamo in uno Stato di polizia, se lo fossimo non ci sarebbe questo livello di evasione fiscale».Sulla necessità di evitare lo «scriteriato regime» della «pubblicazione senza limiti» di intercettazioni era intervenuto, però, in mattinata il presidente del Senato Renato Schifani, per il quale i tempi sono maturi perché ad aprile, dopo le regionali, il Senato se ne occupi «definitivamente». Il 3 marzo riprenderà proprio nella Commissione Giustizia di Palazzo Madama la discussione sul ddl che disciplina la materia. Il capogruppo dell’Idv alla Camera, Massimo Donadi, commenta duramente: «Parla come uno sgherro di partito, nascondendo la verità agli italiani». «Ulteriore contributo all’imbarbarimento del dibattito politico», gli risponde, però, per il Pdl, Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati. Mentre il numero uno al Senato, Maurizio Gasparri, parla di «linguaggio volgare e fuori controllo».