Da quel poco che è trapelato dall’incontro di ieri tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini sui delicati temi della riforma della giustizia si è concluso con un faticoso mezzo compromesso. Il capo del governo, dopo quasi due ore di colloquio mattutino nello studio di Fini a Montecitorio, ha preferito tagliare corto, congedando i giornalisti con un laconico «è andata bene». Molto più loquace il suo interlocutore che ha tenuto subito a far sapere che il campo era ora sgombro da quello che sembrava il macigno più pesante, ovvero la prescrizione breve, che avrebbe avuto l’effetto di un colpo di spugna non solo su migliaia di processi penali in corso, compresi quelli a carico del premier. La sensazione è che Fini, per il ruolo istituzionale che ricopre e anche per le cose che ha affermato dall’inizio della legislatura, sia per il momento riuscito a frenare le preoccupazioni del suo interlocutore per l’«offensiva giudiziaria» che ritiene incombente su di sé e sul governo, convogliandole entro canali meno dirompenti per le opposizioni e per il Quirinale. Il contentino qualche «sì» alle attese del premier sulle riforme della giustizia, ma con molte condizioni.Il problema numero uno, come si diceva, era quello della lungaggine dei processi. Scartata da Fini la prescrizione breve, si è cominciato a ragionare di processo breve. Questo, in pratica, significa che sarà messo un limite temporale ai processi penali, che dovranno durare – solo per gli incensurati – non più di sei anni per tutti e tre i gradi di giudizio. Fini ha ottenuto che questa norma venga presentata con un disegno di legge di iniziativa parlamentare e non con un decreto governativo; inoltre il processo breve, secondo il presidente della Camera, dovrà essere accompagnato da un cospicuo aumento dei fondi per la macchina giudiziaria, perché se è «innegabile che in Italia la durata media dei processi è troppo lunga» è anche vero che è dovere del governo «mettere a disposizione di magistrati, cancellieri, avvocati, cospicue risorse finanziarie perché in molti casi la lentezza dipende dal fatto che i tribunali sono in forte disagio». L’ex leader di An ha anche escluso che nel vertice si sia parlato della Mondadori e che allo stato vi siano allo studio provvedimenti legislativi per intervenire sulle cause civili o i problemi tributari della casa editrice della famiglia Berlusconi. Stessa musica dal presidente della Camera sul tema del ripristino dell’immunità parlamentare che, a sua dire, non è stato oggetto del colloquio con il premier. «In Italia – ha spiegato – c’è un assetto legislativo abbastanza originale: mentre i parlamentari nazionali non godono di alcun tipo di immunità, al parlamento europeo l’immunità esiste. Questo dimostra che discutere non è un’ipotesi che deve destare scandalo». Ma poi ha aggiunto: «È chiaro che l’immunità non possa essere una specie di impunità. A me non interessa sapere se risolve o meno tutti i problemi, si tratta di garantire al potere legislativo la possibilità definita dalla Costituzione di agire in piena autonomia, senza per questo limitare il diritto del potere giudiziario di indagare».