Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho - Ansa
L'uscita dal carcere di Giovanni Brusca per fine pena non è una sconfitta dello Stato. Invece tutta la vicenda è una vittoria dello Stato contro le mafie. È la vittoria dello Stato di diritto, della legge. E questo è l’esatto contrario delle mafie». Ne è convinto il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho che analizza l’importanza della collaborazione di Brusca e più in generale dello strumento della collaborazione, ma non dimentica il dolore di chi ha subito la violenza del mafioso. «Un dolore che facciamo nostro perché il dolore degli altri è anche il nostro dolore. E lo Stato lo deve vivere così».
In primo luogo bisogna analizzare i risultati. Avere collaboratori che consentono di ricostruire vicende criminali di straordinaria gravità come quelle sulle quali Brusca ha reso dichiarazioni, credo che sia una vittoria. Aver approvato una legge che consente di adottare uno strumento di contrasto alle mafie che è l’unico che realmente consente di entrare nelle mafie, conoscerle e sconfiggerle, è una vittoria. Fermarsi solo alla vicenda di Brusca non affronta il vero problema che sono le mafie che vanno sconfitte. E quindi sono necessari strumenti sempre più efficaci per batterle non solo quando usano la violenza per raggiungere il controllo dei territori o per condizionare lo Stato, ma anche per impedire di infiltrarsi nell’economia e nella politica. Ma questa non è l’unica vittoria.
L'arresto di Giovanni Brusca nel maggio 1996 - Reuters
Il nostro è uno Stato di diritto, il che vuol dire che la legge va applicata sempre. Anche applicando ai collaboratori di giustizia i benefici previsti dalla legge. È un valore che non può trovare alcun compromesso. È quello che ci ha permesso di battere i terroristi. Lo Stato non ha tentennato, non ha pensato di adottare leggi liberticide ma ha continuano ad applicare sempre le leggi in modo uguale per tutti. Applicare il diritto anche nei confronti della mafia, questa è la vittoria dello Stato. La mafia viene battuta e indebolita applicando la legge.
Quanto è stata utile la collaborazione di Brusca?
È stata una collaborazione eccezionale. Ha consentito di ricostruire le stragi del 1992 a Palermo e del 1993 a Roma, Firenze e Milano, chi aveva partecipato e il vertice di cosa nostra che aveva dato il comando. Proprio questo ha determinato una condanna che non è stata l’ergastolo, pur essendo stato responsabile di fatti gravissimi. Ora la pena è stata completamente scontata. Non si tratta di benefici penitenziari o di convertire la pena del carcere in misure alternative. Oramai doveva essere necessariamente scarcerato.
Dobbiamo ricordare che l’omertà è uno degli elementi che connotano le mafie ed è il risultato dell’intimidazione. Così l’acquisizione di elementi utili per ricostruire un’organizzazione mafiosa è molto difficile. Gli unici strumenti che abbiamo sono le intercettazioni e i collaboratori. Ma le intercettazioni fotografano un segmento, in un determinato soggetto in un determinato momento. Invece i collaboratori ricostruiscono l’organizzazione, ne fanno un quadro dall’interno. È come aprire un libro e leggere come opera. Le mafie si batteranno anche con la partecipazione dei cittadini, di una società civile che collabora e denuncia, ma al momento gli unici strumenti effettivi sono le intercettazioni e i collaboratori.
In questo momento c’è amarezza tra i familiari delle vittime delle mafie, si riaprono ferite soprattutto per chi ha subito la violenza di Brusca. Cosa vuol dire loro?
Lo Stato è vicino a tutti coloro che hanno subito la violenza delle mafie e in particolare ai familiari delle vittime. E si impegna per individuare i responsabili e applicare nei loro confronti le sanzioni che la legge prevede in uno Stato di diritto in cui non vale la vendetta. È chiaro che chi ha subito la perdita di un familiare continuerà a serbare nel proprio animo un dolore e una lontananza da coloro che ne sono stati autori, anche quando collaborano. Quindi le manifestazioni di amerezza sono più che legittime ma è anche vero che senza i collaboratori non si sarebbe arrivati né si potrà arrivare a scardinare le mafie. E d’altro canto mettere in discussione il sistema della protezione e quindi anche dell’applicazione di benefici, non può essere fatto in un momento come questo in cui le mafie continuano a operare, scegliendo la strategia della mimetizzazione per la grande pressione che lo Stato ha potuto esercitare nei loro confronti quando hanno utilizzato l’omicidio e le stragi come forma di condizionamento della politica.
Nel momento in cui si collabora, automaticamente si resta fuori e si diventa nemici della mafia che ha sempre voluto uccidere i collaboratori. Chi collabora deve mantenere poi una segretezza assoluta, deve muoversi con circospezione, deve fare in modo da non attirare l’attenzione. La mafia non dimentica, è sempre pronta a vendicarsi. Quindi chi fa questa scelta è esposto nel suo futuro.
È mafioso chi aderisce e partecipa all’organizzazione non chi si comporta da mafioso. Pensare che chi è uscito dall’organizzazione e ha collaborato, continui a essere mafioso, non corrisponde alla realtà. Noi diciamo che quando si aderisce a un’organizzazione mafiosa non se ne può uscire, ma proprio per questo esiste un sistema di protezione per i collaboratori di giustizia. Sicuramente Brusca sarà tenuto sotto stretto controllo anche per tutelare la sua vita. I collaboratori di giustizia sono persone che hanno fatto una scelta molto seria e lo Stato si deve impegnare.