Poco alla volta ci si abitua, entra a far parte di una nuova normalità. Così circa 600 euro all’anno vengono grattati via dai ragazzi alle famiglie senza quasi rendersene conto, in una microemorragia di poche monetine per volta. Ce lo conferma l’indagine svolta anche quest’anno dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ifc-Cnr) di Pisa. E adesso che è finita la scuola è possibile che questo fenomeno si amplifichi ulteriormente, complice quella certa rilassatezza e maggiore disponibilità di tempo che può indurre e favorire l’accesso ai punti vendita o al gioco online. Anche per noia, perché in molti casi è proprio questo affetto a nascondersi dietro la propensione al gioco che lentamente scivola nel vizio, conducendo a pieno titolo nell’universo della compulsione, del «vorrei smettere ma non riesco». Spesso ricorre al gioco d’azzardo il giovane alla ricerca di un piccolo brivido, di una
poussée adrenalinica che sovverta il grigiore di una giornata vuota di senso, sebbene magari fitta di impegni. La minima posta in gioco, inoltre, di solito limitata a pochi euro per volta, altera la percezione del denaro che viene perso. Esiste però anche un altro fattore, più propriamente culturale, che si nasconde dietro l’abitudine del gioco ripetuto: l’idea che i soldi si vincano, arrivino per un colpo di fortuna capace di sbaragliare la vita ed eliminare per sempre la necessità di lavorare. Idea evidentemente alternativa a una corretta percezione della realtà, ossia che i soldi invece si guadagnano. Eppure i ragazzi non fanno tutto da soli, certe idee si instillano piano piano, si insinuano nell’animo attingendo dalle parole e dai pensieri che circolano in famiglia e nella società. Quanti adulti affascinati dall’idea del jackpot riempiono le ricevitorie inseguendo vincite improponibili? Quanti sono attratti dal miraggio del
win-for-life promessa di un buon salario garantito senza impegno? Capita che quando chiedo a un bambino cosa vuol fare da grande, a volte mi risponda «il pensionato!»: non è difficile immaginarci dietro un adulto che a cena riesce a raccontare solo la fatica del suo lavoro, vissuto come un peso inevitabile, una pena da scontare, anziché il punto privilegiato del suo personale intervento sul reale. Non va nemmeno trascurata poi quella sorta di legittimazione sociale che tali comportamenti stanno ricevendo negli ultimi anni: sponsor di grandi squadre di calcio sono proprio le società di
gaming online e i loro loghi risaltano sulle magliette dei beniamini dei ragazzi. Allo stesso modo gli spot pubblicitari che invitano al gioco – certo, di Stato e sempre responsabile! – interrompono in continuazione gli eventi sportivi più rilevanti e le fiction più popolari inducendo l’idea che provarci sia giusto, anzi sia
cool, da furbi. Da questo arriva anche nei ragazzi la mancata percezione dei giochi in cui si puntano soldi come veri e propri giochi d’azzardo, ritenuti legittimi passatempo e innocenti divertimenti. E invece si svuotano le tasche e con loro, a volte, la vita tutta.
MEZZO MILIONE DI GIOVANI TENTA LA SORTELa recente pubblicazione dei dati relativi alla «Ricerca sul gioco d’azzardo e i giovani 2009» condotta dall’Istituto di Fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr) ha il pregio di gettare luce su un fenomeno che altrimenti rischierebbe di passare inosservato agli adulti: il gioco d’azzardo è in preoccupante crescita fra i nostri ragazzi. Se confrontiamo i dati 2009 con quelli 2008 risalta come il numero dei giocatori sia aumentato del 7%, in un solo anno. Parliamo di oltre mezzo milione di minorenni che nel nostro Paese inseguono miraggi milionari con «Gratta e Vinci» e lotterie istantanee (34%, dal 28% del 2008), scommesse sportive (17%), lotto e superenalotto (cresciuti dal 9 al 14%). Il «rito» si consuma presso bar, tabaccherie, pub, case e sale scommesse e solo come ultima preferenza Internet, per un importo attorno ai 50 euro al mese, come ha dichiarato il 6,5% dei ragazzi intervistati. Quasi uno studente minorenne su due ha dichiarato di aver tentato la sorte nel corso dell’anno, e non parliamo solo di un fenomeno maschile: l’aumento maggiore anno su anno si registra proprio tra le ragazze passate dal 29% del 2008 al 36% attuale, mentre i maschi sono passati dal 53 al 57%. Tra questi giovani che hanno scommesso denaro, l’11% è considerato a rischio patologico, vale a dire che potrebbe restarci invischiato dentro come nelle sabbie mobili, sviluppando dipendenza e danni a vario titolo, psicologico, economico e famigliare. Il gioco d’azzardo, secondo la ricerca, è più diffuso tra i ragazzi e le ragazze del Sud Italia, con la Campania che si colloca in testa alla classifica regionale, seguita da Basilicata e Puglia, mentre Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Veneto risultano le regioni meno scommettitrici. Quanto alla frequenza di gioco, il 45% ha detto di aver giocato più di 2 volte l’anno, mentre il 14% ha giocato oltre 20 volte nei 12 mesi.