venerdì 27 agosto 2010
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Gli spaghetti e la paura, il Mistero che non si indaga, l’ultimo film girato in Arizona e l’amore per elettronica. È restio a condividere i ricordi, quelli sono di Giancarlo Giannini mica di Mimì metallurgico o Pasqualino settebellezze. S’infastidisce se gli chiedi di paure e passioni, perché «noi attori dobbiamo raccontarvi le favole che nessuno vi racconta più». Poi, però, tra una sigaretta e l’altra, sulla terrazza del Meridien il grande attore spezzino ci apre pian piano la porta del suo Infinito. «È la poesia di Leopardi che preferisco - ammette - e, contrariamente a quanto ci insegnano a scuola, il “naufragar m’è dolce in questo mare” dimostra che il poeta di Recanati era un pessimista allegro, in pratica un ottimista». Da Leopardi al caffè («anche lui gode di pessima fama ma una tazzina dopo cena aiuta ad addormentarsi»), all’attesa dello spettacolo con cui ieri sera, portando in scena il poeta marchigiano, ha condotto migliaia di giovani e meno giovani a interrogar la luna e a scoprire «ove tende questo vagar mio breve». Desidera che i ragazzi amino la poesia ma non è venuto per convincerli, semmai per incitare a «vivere semplicemente». «Sono cattolico - dice - il mio Dio è il vostro, tutto qui. Il mio Mistero è quello che si ritrova nell’Infinito, parole che possono saziare la fame che Lui ci ha dato. Ma attenzione, non cerchiamo di penetrare il Mistero: se hai fede devi solo credere. Dio ci ha dato la possibilità di scoprire i piccoli misteri di tutti i giorni: concentriamoci su quelli».Pian piano, i riflettori passano da Giannini a Giancarlo ed entriamo nella sua casa, nella cucina degli amatissimi spaghetti, nello studio-laboratorio di elettronica, sulla terrazza dove, come il pastore errante, smessi maschera e costume, Giannini interroga la luna: «E le stelle, che potrebbero essere morte da milioni di anni e tu le vedi splendere. Un mistero». Un’esitazione, poi ci regala il suo incontro con il Mistero, con la garbata riservatezza del grande divo di altri tempi. «Ero in cucina, davanti a un piatto di spaghetti che mi ero cucinato da solo perché, vabbé perché era un momento difficile, molto difficile, della mia vita matrimoniale. Il televisore trasmetteva le immagini di un civile cambogiano giustiziato con un colpo di pistola. Non pensai a nulla: fui semplicemente preso, assalito, soggiogato da una paura di quelle con la P maiuscola. Quell’esperienza si accompagnò però anche a quella della liberazione da ogni paura, altrettanto intensa. Trovai un senso di fede e persi quello della paura». Anche nel momento peggiore: «Quando morì mio figlio, provai un dolore terribile, ma mentre consolavo gli altri, pensavo che forse ora sta davvero meglio di noi». Una pausa e il grande attore torna a riunirsi all’uomo. Eccoci nelle lunghe giornate passate in compagnia dell’elettronica, passione che gli è valsa alcuni brevetti. «Per venti giorni non ho fatto altro che immaginare come avrei dovuto costruire un interrutore, alla fine ne ho prodotti undici» racconta compiaciuto. «Ho realizzato un guanto - aggiunge - che, muovendo la mano, crea musica, una specie di pianoforte che ha avuto un grande mercato». Signorilmente, glissa sul fatto che i produttori si sono fatti trascinare in tribunale pur di non pagargli i diritti. È sua anche la giacca parlante usata da Robin Williams in Toys. Un’altra sigaretta e si torna al cinema. Ha appena finito di girare un film tra l’Arizona, il Canada e l’Italia, con F. Murray Abraham e Silvia De Santis. Giannini è regista, attore e produttore. Il protagonista è «un uomo semplice finito nella rete di un gruppo di giocatori. Ma lui li cambia e finisce in paradiso». Ciak in Arizona, dove «laggiù avverto il senso dell’Infinito»: Leopardi onnipresente, ma sempre quello «ottimista», che amava «naufragar»: «Il dono più grande che Dio ci ha fatto - ci dice - è poter pensare, e con il pensiero sperimentare il bello, esplorare il mondo, comunicare tra noi. Sono affascinato dal pensiero umano, che è più veloce e potente di  qualsiasi computer». Parola di esperto di elettronica.
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