Annamaria Furlan si impegnerà in prima persona perché lo sciopero all’outlet di Serravalle Scrivia contro l’apertura anche nel giorno di Pasqua abbia successo. Una vicenda, spiega in questa intervista, divenuta «il simbolo di una battaglia contro lo snaturamento del lavoro» e contro la «liberalizzazione selvaggia degli orari commerciali voluta nel 2011 dal governo Monti». Il segretario generale della Cisl punta a un’iniziativa unitaria di tutto il sindacato per supportare questa sfida e lancia un appello ai cittadini: «A Pasqua e in giorni come il Primo maggio o Natale non andate a comprare, non è indispensabile fare shopping».
Mentre il governo sta lavorando al Def e alla manovra, Furlan chiede al premier Paolo Gentiloni di convocare i sindacati. Bene le dichiarazioni sugli sgravi contributivi per i giovani, afferma, purché siano permanenti e non temporanei. Ma servono anche una riforma fiscale, come Renzi aveva promesso, «perché in Italia abbiamo stipendi tra i più bassi d’Europa» e una politica economica che favorisca sviluppo e investimenti: «Per creare lavoro stabile – osserva – non bastano sgravi o nuove regole contrattuali».
All’Outlet di Serravalle si lavora già 361 giorni all’anno ma non basta. Ora si vuole arrivare a 363. Che ne pensa?
Paghiamo il prezzo di una liberalizzazione davvero selvaggia. L’anno scorso abbiamo già fatto due giornate di sciopero, perché la situazione è diventata insopportabile in tutta la grande distribuzione e in particolare nei centri commerciali. Il caso Serravalle, con la decisione di tenere aperto anche nel giorno di Pasqua è inaccettabile, ed è la punta di un iceberg di un regime commerciale che impone l’apertura in tutte le domeniche e festività e condiziona malamente la vita dei lavoratori. Voglio sottolineare che la stessa proprietà dell’outlet, che in Italia pretende di tenere sempre aperto, in altri Paesi come Francia e Germania si guarda bene dal proporlo.
Si dice che così si aiutino i consumi, il turismo, l’economia.
Mi colpisce che in un periodo di crisi si possa pensare che tenendo aperto il giorno di Pasqua si possa consumare di più. L’unico modo per favorire i consumi è aumentare gli stipendi, non stare aperti notte giorno e festivi. Nei Paesi a noi vicini si cresce di più e c’è molto più rispetto del lavoro e dei lavoratori di quanto non avvenga nel nostro Paese. Alla radice di questo problema c’è una concezione sbagliata del rapporto tra l’economia, il lavoro e la persona. Al centro ci deve essere non il consumo ma la persona. Le domeniche e le feste, specialmente quelle più sentite in termini religiosi, vanno rispettate. Tra l’altro è di una tristezza inaudita il messaggio che i giorni di festa si trascorrano al centro commerciale. Così la festa non è più il momento delle relazioni umane, della famiglia, dello svago, ma un elemento di rapporti solo consumistici.
Come rispondete a questa sfida?
Intanto hanno fatto molto bene le federazioni di categoria a reagire annunciando lo sciopero a Serravalle. Me ne occuperò personalmente perché questo caso è il simbolo di uno snaturamento del valore del lavoro e sarebbe bella un’iniziativa unitaria dei sindacati. Dobbiamo spingere governo e Parlamento a cambiare questa legge sbagliata. Con alcune aziende più lungimiranti siamo riusciti a fare accordi sulla gestione dei giorni festivi che hanno un po’ rimediato agli sfaceli della legge. Ma non basta, serve un intervento alla radice. Anche perché nei negozi con pochi dipendenti non riescono neppure a fare una turnazione. Inoltre voglio fare un appello anche per responsabilizzare i cittadini: se il giorno di Pasqua non andassero a comprare sarebbe meglio, non è indispensabile andare a fare shopping.
Con il governo finora avete parlato solo di pensioni, mentre nei prossimi giorni arriverà il Def. È preoccupata?
Leggiamo molte dichiarazioni sugli sgravi per le assunzioni, ma vorremmo aver le idee più chiare sulle intenzioni del governo. Per questo chiediamo un incontro al presidente del Consiglio. L’ipotesi di incentivare l’occupazione giovanile è valida, purché sia con misure permanenti. Però ci devono spiegare anche cosa vogliono fare sul fisco. Non si vede traccia di quell’intervento sull’Irpef che il governo Renzi aveva promesso entro il 2018. Noi abbiamo raccolto 500mila per una riforma che è importante non solo per ragione di giustizia fiscale ma anche per aiutare l’economia, i consumi, il lavoro. Così come è decisivo in Europa cambiare rotta sul fiscal compact e puntare su politiche di sviluppo. Altro che tenere i negozi sempre aperti.